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IRAQ, STRAGI DI CIVILI

Le cronache del dodicesimo giorno di guerra parlano di Al Hilla, o semplicemente Hilla e dei suoi 35 abitanti uccisi e dei 450 feriti; nessuno dice che in territorio di Hilla, circa 80 chilometri a sud di Baghdad, c’è Babil, Babele, Babilonia, “nota dalla Bibbia per i suoi disordini” dicono i dizionari. I bombardieri B-52, gli elicotteri Apache e le bombe a frammentazione scagliate nella zona per conquistare un piccolo guado sulla strada verso la capitale hanno fatto un’inutile strage di civili. Razek Al-Kazem Al-Khafaji, seduto tra 15 bare di legno povero e grezzo, sembra non credere ancora al fatto che quei proiettili gialli piovuti dal cielo gli hanno portato via, da un momento all’altro e tutti insieme, madre, padre, moglie, sei figli, tre fratelli e le loro mogli. Lui, unico superstite, davvero non capisce perchè, mentre fuggivano dalle bombe di Nassyria, tutti insieme su un camioncino, nei pressi del sobborgo di Haidariya, ormai quasi a Hilla, sono stati centrati in pieno da un razzo partito da un Apache. Lui forse neanche sa di Babilonia là vicino, della porta di Ishtar (stupenda nella sua ricostruzione a Berlino) e neanche di Nabuccodonosor che 587 anni prima di Cristo distrusse il tempio di Gerusalemme e da queste parti, forse proprio dove ora Razek conta i suoi morti, giunsero in catene i Giudei. Razek non sa, e nemmeno noi, se le bombe a grappolo hanno colpito anche l’antica “via della processione” e lo ziggurat del dio Marduk, precursore della Torre di Babele.

Ma che ormai siano una vera e propria babele le cronache della guerra in Iraq non c’è dubbio. Al nord, vicino Halabjah, americani e curdi peshmerga (“quelli che confrontano la morte”) avrebbero distrutto un campo militare simil-talebano e forse anche un poco Al-Qaeda. Ma il grosso dei fondamentalisti islamici lì residenti sarebbe riuscito a fuggire sulle montagne verso l’Iran. A Baghdad, dove volontari starebbero già organizzando, con sacchi di sabbia e turni di guardia, la difesa degli edifici, si è ripetuto che Saddam Hussein è morto, Saddam è vivo, oppure è ferito ed è nascosto, o ancora è fuggito all’estero lui e i suoi parenti. Un suo ministro in televisione ha chiamato alla guerra santa (che per il Corano è un dovere) e ha detto che ci sono pronti più di seimila kamikaze per difendere il Paese.

Al sud, Bassora e circa ottocentomila suoi abitanti hanno sempre sete ma non se ne parla più. E nemmeno si sa se gli angloamericani sono riusciti a entrarvi. Quattro giornalisti e un attivista dati per morti, dispersi, torturati o “trofei di guerra” sono invece liberi in Giordania e dicono che è stata una “settimana dura” ma non sono mai stati maltrattati. Nella cittadina-porto di Umm-Qasr è tornata l’elettricità e qualche scuola riapre ma gli aiuti via mare non possono ancora essere sbarcati. L’Onu comunque non vuole che degli aiuti si occupino i militari, sospettati di favoritismi solo verso gli iracheni che si dimostrano amici.

E intanto, mentre si bombarda ancora e sempre Baghdad, una battaglia campale si sta svolgendo cento chilometri a sud, a Karbala, città santa sciita, il cui nome, altra parola d’origine babilonese, significa “vicinanza di Dio”. Forse per questo, 1363 anni fa, l’imam Abi Abdillah Al-Husain, proprio il secondo giorno del mese di “muharram” (aprile), decise di fermarsi in questo luogo in cui il suo cavallo (e altri cinque dopo il primo) non volle più muovere un passo. Stamani, a Karbala, brillano ancora al sole le cupole e le guglie dorate della veneratissima e monumentale tomba di Al-Husain? Nessuno ne ha parlato nè le riprese di guerra autorizzate le hanno fatte vedere. D’altronde, a chi mai puo interessare se la Mesopotamia intera, già culla della civiltà anche occidentale, sta diventando una grande bara a cielo aperto piena di vittime civili d’ogni sesso ed età sepolte sotto ruderi preziosi?

Misna