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Invasione russa. I “100 giorni” dei piccoli “eroi del bene” a fianco delle persone, tra gli orrori della guerra

C'è un popolo sconosciuto e silenzioso che viaggia per tutto il Paese, in prima linea nel portare medicine agli anziani, cibo alle famiglie, aiuto a chi ne ha bisogno. Monasteri, parrocchie e centri di comunità, trasformate in luoghi di prima accoglienza e sicurezza. Un viaggio, corredato da foto e video, tra le migliaia di iniziative di bene che hanno accompagnato e sostenuto l'Ucraina in questi 100 giorni di guerra.

“Chi mi vede, mi dice: ‘tu che sei vicino a noi, ci fai vedere che Dio non ci ha abbandonato’”, racconta don Oleh, salesiano impegnato nel Donbass. “Mi sento quindi in obbligo non lasciare sole queste persone per dimostrare che anche in questa terra bruciata dalla guerra, dove non c’è più nulla se non morte e distruzione, Dio è presente e non lascia indietro nessuno”.

100 giorni di guerra ingiustificata, brutale, assassina. Nell’oscurità dei rifugi e tra le macerie delle bombe, ovunque in Ucraina, da Nord a Sud, Est ed Ovest, ci sono loro. Volontari, medici, sacerdoti e suore, vescovi e pastori, comunità religiose e centri di accoglienza. Un popolo di “eroi” anonimi e silenziosi che non solo non hanno mai lasciato il Paese ma fin dal primo giorno di aggressione russa, hanno aperto, senza esitare, le porte di chiese e monasteri offrendo rifugio a migliaia di persone in fuga, distribuito beni e aiuti umanitari anche nelle città più bombardate, accompagnato, consolato, curato donne, bambini, anziani. Abbiamo deciso di ripercorrere questi 100 giorni di solidarietà attraverso le immagini più significative di questo “popolo del bene” che attraversa l’Ucraina in guerra.

Siamo nella Parrocchia greco-cattolica dei martiri, a Beryslav, regione di Kherson, una delle più colpite dai russi. La mensa si trova dentro la chiesa e si chiama “Cinque pane e due pesci”. La cucina è attiva e funzionante. Negli ultimi 10 giorni sono riusciti a preparare e distribuire 1.023 cene. Ogni giorno vengono offerti sul posto pasti per circa 130 persone mentre altri 15 vengono portati quotidianamente dai parrocchiani a persone anziane e disabili direttamente alle loro case. I negozi in città sono chiusi per cui la mensa è la sola possibilità che le persone hanno per mangiare. La parrocchia di Beryslav è solo un esempio di tutte le chiese e comunità religiose sparse su tutto il paese e diventate in questi 100 giorni di guerra rifugio, casa, ritrovo, e punto di riferimento sul territorio per l’arrivo dei tir e la ridistribuzione degli aiuti umanitari.

Anche i vescovi in prima linea. Siamo ad Kharkiv, la seconda città del Paese nel nord-est, sede di una prestigiosa università, presa ripetutamente di mira dopo la riconquista da parte delle forze di Kiev. Parte della popolazione si è rifugiata nei tunnel della metropolitana. Ma oltre alle bombe, qui il rischio è anche quello di morire di fame. Fin dall’inizio dell’aggressione russa su vasta scala, le due cattedrali della città – cattolica e greco-cattolica – diventano rifugio e magazzini per gli aiuti umanitari. Con i preti e le suore, a gestire in prima linea il lavoro ci sono i due vescovi locali: il vescovo latino di Kharkiv-Zaporizhzhia, mons. Pavlo Honcharuk, e l’esarca greco-cattolico mons. Vasyliy Tuchapets. Anche la cattedrale cattolica latina è stata colpita da un missile nei primissimi giorni di offensiva russa. I bombardamenti – racconta mons. Honcharuk– sono continui, “tutto il tempo” e con il passare dei giorni la situazione sta diventando “troppo difficile per la popolazione. La gente è stanca di vivere in questa sofferenza, senza sapere cosa succederà dopo”. “La Chiesa rimane vicino alla sua gente”, assicura il vescovo. “C’è una grande richiesta di aiuti che per fortuna, continuano ad arrivare”.

Il Papa, la nunziatura e il silenzioso lavoro della pace.  “Non siamo soltanto un’ambasciata. Io qui rappresento il Papa presso l’Ucraina, ma anche presso il popolo e presso le Chiese in Ucraina. Ho non soltanto il dovere, ma anche la possibilità di stare vicino alla gente. Quindi il mio posto è qui. Noi non ci muoviamo”. Lo aveva promesso mons. Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico in Ucraina all’indomani dell’attacco russo su Kiev, il 24 febbraio. E da Kiev, il nunzio non si è mosso. E’ qui che ha accolto prima il card. Konrad Krajewski, Elemosiniere di Sua Santità, in missione caritativa in Ucraina per conto di Papa Francesco nei giorni di Pasqua e poi mons. Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati. Entrambi sono stati un segno visibile della vicinanza del Papa al popolo ucraino.

E poi ci sono loro. I sacerdoti delle “periferie” della guerra. Quelli che non abbandonano gli abitanti rimasti bloccati nelle città più colpite dai russi. Don Sergio Palamarchuk, parroco di Lysyčansk e di Muratove della diocesi di Donetsk. Don Oleh Ladnyuk, sacerdote salesiano ucraino di Dnipro, capitale dell’oblast di Dnipropetrovs’k. Padre Roman Demush, della Caritas della Arcidiocesi di Ternopil-Zboriv. Don Gregorio Semenkov, cancelliere della diocesi cattolica latina di Kharkiv e parroco della cattedrale. Padre Pavlo Tomaszewski, parroco paolino della parrocchia di Nostra Signora di Czestochowa di Mariupol. Alcuni di loro non hanno smesso di fare da spola nelle città occupate dai russi, avanti e indietro, con i pulmini a portare medicine e aiuti umanitari e aiutare la gente ad evacuare. “Chi mi vede, mi dice: ‘tu che sei vicino a noi, ci fai vedere che Dio non ci ha abbandonato’”, racconta don Oleh. “Mi sento quindi in obbligo non lasciare sole queste persone per dimostrare che anche in questa terra bruciata dalla guerra, dove non c’è più nulla se non morte e distruzione, Dio è presente e non lascia indietro nessuno. Non è facile. Ma lo faccio e capisco che Dio mi ha mandato in questo posto, in questo momento della vita, proprio per questo”.

I “numeri” della Caritas. 100 giorni di guerra in Ucraina – 100 giorni di aiuto e sostegno della Caritas. Durante questo periodo, più di 1.200.000 vittime della guerra, sfollati interni, sopravvissuti all’occupazione e coloro che vivevano vicino alla zona di guerra hanno ricevuto aiuti. Alle cifre di Caritas Ucraina (legata alla Chiesa cattolica latina) vanno aggiunti i numeri della Caritas-Spes (della chiesa greco-cattolica). Entrambe impegnate a distribuire aiuti, erogare servizi, gestire centri di accoglienza. E’ il “grande cuore” che batte nel cuore dell’Ucraina che resiste. “Ogni guerra deve mantenere un volto di umanità”, dice il direttore di Caritas-Spes Ucraina, don Vyacheslav Grynevych. “Quando le persone non hanno nulla da mangiare e rischiano di morire di fame, la guerra rivela di sé la sua parte più disumana. Dobbiamo allora aprire non soltanto i nostri cuori ma chiedere ai leader politici e a tutti coloro che hanno il potere di fare qualcosa, di consentire l’apertura di corridoi umanitari sicuri e l’accesso agli aiuti umanitari”.

I bambini e la forza del futuro. Il bilancio purtroppo è drammatico. Sarebbero 243 i bambini ucraini uccisi in questi primi cento giorni di guerra, più di due al giorno. Il bilancio, provvisorio, è l’ultimo fornito dalla Procura generale ucraina lo scorso 30 maggio, dal quale emerge anche che sarebbero 444 i bambini feriti. I numeri più pesanti, in termini di vittime, si sono registrati nella regione di Donetsk, con 153 bambini uccisi, nella regione di Kiev (116) e in quella di Kharkiv (109). Secondo l’ultimo aggiornamento fornito dall’Unicef ai primi di maggio, oltre due terzi di tutti i bambini ucraini sono stati costretti a fuggire dalle loro case, molti anche dal Paese. Ma, come sempre, a fianco delle statistiche, ci sono le storie e quelle raccontate dagli operatori Caritas parlano di un popolo di bambini che nonostante i “segni” della sofferenza, dimostrano di avere una straordinaria capacità di credere nel futuro e resistere nel presente. Tatiana Pryadko, assistente sociale, Caritas Poltava: “I bambini tengono duro e ci ispirano a resistere. La loro resilienza, i loro sogni e la fiducia incrollabile che andrà tutto bene, è commovente!”.