Mondo

Iraq: mons. Warduni (Baghdad), «vogliamo liberazione Mosul ma non vogliamo vendette»

«Noi vogliamo la liberazione della grande città di Ninive e poi della Piana di Ninive, vogliamo la pace e la sicurezza, che lascino il nostro popolo vivere con onestà e tranquillità, ma non vogliamo vendette». Nel giorno in cui è cominciata l’offensiva irachena contro l’Is a Mosul, a parlare è monsignor Shlemon Warduni, vescovo caldeo ausiliare di Baghdad, che a Radio Vaticana racconta le speranze e i timori dei cristiani iracheni.

La liberazione della città, infatti, non sarà indolore. «Noi vogliamo la liberazione, ma che sia una liberazione senza le armi – spiega monsignor Warduni – la liberazione, e specialmente sicura, della gente, dei villaggi: quei villaggi e quelle città dove abbiamo vissuto migliaia di anni. E quindi noi vogliamo una liberazione e una protezione». Certamente, annota il vescovo, «tanta gente andrà sotto le armi, subirà la distruzione delle case… E questo noi non lo vogliamo! Perché questa gente è gentaglia proprio: ha distrutto le opere d’arte, i villaggi, le chiese e anche le moschee, purtroppo…. Noi diamo la colpa alla gente che li ha aiutati, a chi ha dato loro le armi, le munizioni, a chi ha comprato il petrolio al mercato nero. E il mondo guarda soltanto. Bastava non vendere loro le armi, bastava non dar loro il denaro… Bastava, bastava e bastava! Ma nessuno si muove e lascia il male vincere».

Per monsignor Warduni è importante che in questa fase «nessuna etnia prevalga sull’altra. Che si lascino fuori le vendette. Ma questo penso che non sarà possibile: manca lo spirito umano, manca lo spirito religioso vero, vero… Speriamo, perché altrimenti – purtroppo – ci saranno ancora uccisioni e sarà una grande sciagura per l’Iraq, come è stato ad Aleppo o in altri posti». Circa il ritorno dei cristiani a Mosul e nelle aree vicine a Mosul, per Warduni questo potrebbe «aiutare la riconciliazione nazionale. Però non si sa, perché quando ci sono il rancore, l’odio e la vendetta, queste cose non si pensano. Ma questo è quello che noi vogliamo: la pace, la tranquillità, e – se possibile – che questa liberazione avvenga, come si dice, senza le armi».