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Israele, tra le vittime degli attentati

È intitolato al dottor Hillel Yaffe il Medical center di Hadera, sulla costa israeliana, a metà strada tra Haifa e Tel Aviv. Yaffe, nei primi anni del Novecento, si distinse soprattutto nella cura della malaria. Ma oggi, le porte del moderno ospedale, si aprono sempre più spesso alle decine di vittime degli attentati terroristici.DI ANDREA FAGIOLI

dall’inviatoANDREA FAGIOLI

È intitolato al dottor Hillel Yaffe il Medical center di Hadera, sulla costa israeliana, a metà strada tra Haifa e Tel Aviv. Yaffe, nei primi anni del Novecento, si distinse soprattutto nella cura della malaria. Ma oggi, le porte del moderno ospedale, si aprono sempre più spesso alle decine di vittime degli attentati terroristici.

«Sono stati portati qui – ci spiegava il direttore generale Meir Oren – anche i 35 feriti dell’attentato del 17 gennaio nel corso di un banchetto per celebrare il Bat Mitzvah di una ragazzina di 12 anni». Il Bat Mitzvah, infatti, è la festa che segna il passaggio all’età adulta, un po’ se vogliamo come la nostra Cresima. Non si trattava pertanto di una festa di nozze come invece è stato scritto all’indomani dell’attentato.

Comunque sia, sotto le raffiche del killer palestinese sono morti dieci ebrei di origine russa, parenti e amici di Nina Kardashova, la piccola immigrata in Israele da una cittadina del Caucaso. Cinque di loro erano arrivati al Medical center ancora in vita, ma non c’è stato niente da fare. Mentre alcuni dei sopravvissuti sono già stati dimessi, altri sono ancora ricoverati: un paio in gravi condizioni. Tra questi il giovane a cui ha fatto visita la delegazione toscana guidata dal rappresentante della Regione Massimo Toschi, con alcuni sindaci e una rappresentanza dei partecipanti al recente «pellegrinaggio della solidarietà», che ha portato in Terra Santa dal 18 al 23 gennaio oltre 60 persone tra imprenditori, rappresentanti della grande distribuzione, sindacalisti, bancari, associazioni, federazioni, diocesi, fondazioni e Caritas.

«Da un anno a questa parte – ricordava in perfetto italiano il dottor Oren, che per tre anni ha studiato nel nostro Paese – gli attentati sono stati più di venti con 300 vittime tra morti e feriti: molti sono stati portati qui. Siamo infatti in un punto “strategico”, anche per motivi di collegamenti stradali. Ogni giorno sono almeno 80 i feriti di varia natura che arrivano in questo ospedale, che ha una capienza di 410 posti». Ma il giorno della visita, i ricoverati erano almeno 450. Il via vai di ambulanze continuo.

La delegazione toscana, l’unica a far visita ai feriti di quel drammatico attentato, si è incontrata con i parenti del ferito i quali facevano capire di aver abbandonato la Russia sperando in un futuro migliore in terra d’Israele. Invece, con le lacrime agli occhi, erano lì a sperare che il loro congiunto non facesse la fine degli altri dieci.

Toschi, che è consigliere del presidente della Regione Toscana per la pace, la cooperazione e i diritti umani, tiene ora a sottolineare l’importanza di quella visita all’«Hillel Yaffe Medical center» a poche ore di distanza dall’incontro con Arafat. «È stato un gesto concreto di solidarietà molto apprezzato – spiega Toschi – ed è significativo che sia stato compiuto dalla Toscana, la regione italiana più impegnata nella cooperazione con palestinesi ed israeliani. Non si è cercata l’equidistanza, ma si è scelta la pace e dunque le vittime, che sono le prime voci della pace anche in quella terra».

Appena rientrati in Toscana i componenti della delegazione hanno proseguito nella messa a punto degli accordi commerciali avviati con gli artigiani di Betlemme. Ad esempio, il gruppo pratese, composto dal direttore della Caritas don Santino Brunetti, dall’assessore provinciale Fabio Giovagnoli e dal direttore della Confartigianato Pierluigi Galardini, ha annunciato, nel corso di una conferenza stampa a cui era presente il vescovo Gastone Simoni e il presidente della Provincia Daniele Mannocci, la nascita del «coordinamento pro-Palestina», comprendente anche la locale Camera di Commercio, al fine di dare un contributo sostanziale alla ripresa economica della Terra Santa, messa in ginocchio dal crollo dei pellegrinaggi.

«Un Euro di solidarietà» è invece lo slogan della sottoscrizione che la Cisl della Toscana ha lanciato a favore dei bambini di Betlemme e del popolo afghano. Un’iniziativa che vuole impegnare non solo gli iscritti Cisl, ma tutti i lavoratori, i giovani e i pensionati della Toscana a favore dei popoli di due delle molte realtà del mondo dove l’umanità soffre e dove più alto è il rischio per il suo futuro. La sottoscrizione è stata presentata dal segretario regionale della Cisl, Gianni Salvadori, anche lui di rientro dal «pellegrinaggio della solidarietà» in Terra Santa dove è stato tra i promotori degli accordi commerciali che hanno riguardato una parte delle 678 aziende iscritte alla Camera di commercio del governatorato di Betlemme (5 città, 71 villaggi e tre campi profughi) e di cui ben 461 sono impegnate nel settore commerciale per la vendita di prodotti artigianali fabbricati in legno di ulivo e madreperla.

George Handal, uno degli artigiani di Betlemme incontrati dalla delegazione toscana, ricordava il dramma di tanti suoi colleghi costretti a chiudere le botteghe e a licenziare i dipendenti. «Io – spiegava George, che lavora in società con il figlio – sono il proprietario di uno dei pochi negozi rimasti aperti nella città di Betlemme, ma solo perché, dopo aver cercato in tutti i modi di sopravvivere, ho cercato acquirenti in Europa e negli Stati Uniti». È per questo che lui, per promuovere il suo «Bethlehem olive wood factory», ha realizzato persino un cd-rom con tanto di prezzi internazionali, euro compresi. Ma George è solo l’eccezione di una regola di povertà e di stenti che colpisce gran parte dei palestinesi.

La delegazione toscana è potuta entrare anche a Gerico, cosa che non succedeva a nessun gruppo dal settembre 2000. E lì, nella più antica città del mondo, la miseria ha sepolto la storia. Un tempo si pensava alla città delle famose mura bibliche come alla possibile capitale di uno stato palestinese. Adesso è il primo insediamento arabo ad essere continuamente chiuso dai mastodontici blocchi di cemento con cui gli israeliani hanno disseminato le strade di accesso ai territori palestinesi.

Unico segnale di speranza, in mezzo a tanta desolazione, la scuola per il restauro dei mosaici, realizzata anche con il contributo del governo italiano e sotto la supervisione dello Studio biblico francescano di Gerusalemme, all’interno dell’importante sito archeologico di Qasr Hisham, dov’è venuto alla luce un imponente palazzo dell’ottavo secolo impreziosito da stupendi mosaici.

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