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«Jiahidisti da crocifiggere». Da Al Azhar parole inaspettate

«Devono essere uccisi, crocefissi e bisogna tagliare loro le mani e i piedi»: la dura condanna dei terroristi dello Stato islamico (Is), pronunciata all'indomani della morte del pilota giordano, dal grande imam di Al Azhar del Cairo, Ahmed Al Tayyeb, sorprende ma non troppo anche se «i termini sono molto crudi e inaspettati». A sostenerlo è Michele Brignone, segretario scientifico della Fondazione internazionale Oasis che al Sir commenta le parole dell'imam.

Quest’ultimo, spiega Brignone, «solo due settimane fa aveva rilasciato un’intervista a un importante quotidiano egiziano nella quale aveva detto che la fattispecie in cui rientrano i musulmani che si macchiano di crimini come quelli commessi dallo Stato islamico è quella della legge del taglione». «Mi stupisce la crudezza – aggiunge Brignone che è anche docente incaricato di teologia islamica presso lo Studium Generale Marcianum di Venezia – ma va letta nella grande indignazione che il rogo del pilota giordano ha suscitato in gran parte del mondo islamico».

Secondo il segretario scientifico della Fondazione Oasis, si deve anche tenere presente che «in questo periodo l’Università di Al Azhar porta una grande responsabilità e vive un momento di grande pressione» che si spiega con «l’importante discorso tenuto a inizio anno dal generale Al-Sisi in cui invita il centro sunnita a promuovere un pensiero più illuminato all’interno dell’Islam. Già alla fine del 2014 Al Azhar si era espressa contro lo Stato islamico ma in questo momento, l’accavallarsi di diversi fatti e tragici eventi, ha provocato questa reazione molto dura».

Certamente, annota Brignone, «le dichiarazioni dell’imam non sono il modo giusto per intraprendere una riforma dell’Islam come invocato da Al-Sisi. Una reazione di questo tipo rischia davvero di generare un circolo violento inesauribile».

Alla condanna dell’imam di Al Azhar si deve aggiungere anche quella del mondo arabo che «già si era registrata in altre occasioni analoghe, quando a subire la violenza dell’Is erano stati cittadini europei o quantomeno non arabi. Nel caso del pilota giordano – dice Brignone – il mondo islamico si sente direttamente chiamato in causa, colpito al cuore e indignato. C’è stata una reazione emotiva, nel senso migliore del termine, molto forte e questo inciderà sul modo in cui molti musulmani vedono lo Stato Islamico. Non è un effetto che si esaurirà facilmente». Soprattutto se il mondo arabo, «a livello di autorità religiose non si limiterà a condannare ma si lascerà interrogare da quello che sta succedendo, se respingerà le iniziative dell’Is e, infine, se a livello politico saprà spezzare i legami con l’Is. Ma questo deve valere anche per quei Paesi che sono al di fuori del mondo arabo».