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Libia: naufragio con 100 morti. Msf, «trattati 18 casi urgenti, salvata una persona»

«Più di 100 persone, tra cui almeno 20 bambini, sono morte in un naufragio al largo delle coste libiche una settimana fa». Lo denuncia Medici Senza Frontiere (Msf) con una nota in cui si segnala che sarebbe avvenuto tra il 1° e il 2 settembre. I naufraghi hanno avvisato la Guardia Costiera italiana ma i soccorsi sono arrivati tardi.i

Un gruppo di 276 persone, tra cui alcuni sopravvissuti al naufragio, è stato riportato indietro nella città portuale di Khoms dalla guardia costiera libica domenica 2 settembre. Msf ha fornito assistenza medica urgente dopo lo sbarco. In base alle testimonianze raccolte dalla Ong, «due gommoni hanno lasciato la costa libica nelle prime ore del mattino di sabato 1° settembre, ogni nave trasportava più di 160 persone di diverse nazionalità, tra cui sudanesi, maliani, nigeriani, camerunesi, ghanesi, libici, algerini ed egiziani. «Mentre il primo gommone si era fermato a causa di un guasto al motore, il nostro ha continuato a navigare fino a quando, verso le 13, ha cominciato a sgonfiarsi. A bordo eravamo 165 adulti e 20 bambini – racconta un sopravvissuto al naufragio -. In quel momento il telefono satellitare mostrava che non eravamo lontani dalla costa maltese. Abbiamo chiamato la guardia costiera italiana e abbiamo inviato le nostre coordinate, chiedendo assistenza mentre la gente iniziava a cadere in acqua. Ci è stato detto che avrebbero mandato qualcuno. Ma la barca ha iniziato ad affondare».

Ricordando quei momenti, il testimone racconta che «non potevamo nuotare e solo poche persone avevano giubbotti di salvataggio». «Quelli tra noi che potevano aggrapparsi alla barca sono rimasti in vita. I soccorritori (europei, ndr) sono arrivati più tardi in aereo e hanno lanciato zattere di salvataggio, ma tutti erano in acqua e la barca si era già rovesciata. Poche ore dopo, altri soccorsi aerei hanno lanciato altre zattere di salvataggio. Sulla nostra barca sono sopravvissute solo 55 persone. In molti sono morti, comprese famiglie e bambini».

La convinzione del testimone è che «avrebbero potuto essere salvati se i soccorsi fossero arrivati prima». «Più di venti bambini sono morti, compresi due gemelli di 17 mesi annegati insieme alla madre e al padre. È arrivata anche la guardia costiera libica, salvando prima i sopravvissuti al naufragio e recuperando poi il secondo barcone. Siamo stati tutti portati qui». Sono stati recuperati solo due corpi.

«Siamo riusciti a trattare 18 casi urgenti, tra cui nove persone con ustioni chimiche estese fino al 75 per cento del corpo. Abbiamo organizzato il trasferimento in ospedale per un paziente in condizioni particolarmente critiche: senza un rapido accesso a cure intensive specialistiche, la persona sarebbe morta». Lo dice Jai Defransciscis, infermiera di Medici senza frontiere, che lavora a Misurata, a proposito del naufragio in cui avrebbero perso la vita più di 100 persone, tra il 1° e il 2 settembre. «La nostra équipe medica ha lavorato duramente per diverse ore per assistere i sopravvissuti nelle condizioni più gravi – racconta -. Una volta sbarcato, il gruppo è stato portato in un centro di detenzione sotto il controllo delle autorità libiche. È prassi che le persone riportate in Libia dai barconi vengano rispedite in un pericoloso sistema di detenzione arbitraria». Anche lì le équipe di Msf hanno fornito ulteriori cure al gruppo. «Tra loro ci sono donne incinte, bambini, neonati e persone con gravi condizioni mediche e ustioni chimiche. Le équipe di Msf hanno anche organizzato sei ulteriori trasferimenti in ospedale».

L’infermiera esprime preoccupazione per i pazienti. «Come possono guarire se rimangono rinchiusi all’interno di celle, in condizioni igieniche precarie, e dormono su coperte o materassi messi direttamente sul pavimento, che causano un dolore incredibile per chi presenta ustioni gravi? Alcuni di loro non possono nemmeno sedersi o camminare – continua Defransciscis -. Abbiamo visto pazienti con gravi infezioni toraciche causate dalla prolungata permanenza in acqua. L’inadeguato accesso a cibo e acqua potabile potrebbe ritardare o impedire il recupero delle persone, o addirittura aggravare le loro condizioni».