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Mons. Galantino su referendum irlandese: «Né arroccamento, né accettazione acritica»

Il risultato del referendum irlandese come sfida da raccogliere per la Chiesa «è il commento più interessante e meno bigotto che si possa fare». Lo dice monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, intervenuto questa mattina a Radio anch’io (Rai uno).

Commentando il titolo de L’Osservatore Romano, il segretario Cei afferma: «La percentuale con cui è passato il referendum ci obbliga un po’ tutti a prendere atto che l’Europa, e non solo l’Europa, sta vivendo un’accelerazione del processo di secolarizzazione che coinvolge tutti gli aspetti e quindi anche quello delle relazioni». Di fronte «a questo fatto che sta davanti a tutti», a «questo e ad altri cambiamenti che di sicuro sorprendono, e talvolta anche destabilizzano, la risposta non può essere né quella dell’arroccamento fatto di paure e di arroganza», né «quella dell’accettazione acritica, frutto di una sorta di fatalismo e di chi batte in ritirata». Per mons. Galantino, «la paura, l’arroccamento, il fatalismo fanno il gioco delle lobby ideologiche, lasciano cioè il campo a chi purtroppo vive anche realtà importanti e belle come quella delle relazioni» unicamente «come conquista da esibire e da sbattere in faccia».

«Ieri e l’altro ieri qualcuno si è subito affrettato a dire che quello che è avvenuto in Irlanda è stato un sonoro schiaffo alla Chiesa. Non è così che si ragiona», ha premesso mons. Galantino a Radio anch’io prima di rispondere ad una domanda sull’ipotesi che il governo approvi entro settembre una legge sulle unioni di fatto. «Voglio ricordare quello che il Papa ha detto nel 2013 agli scrittori de La Civiltà cattolica: il compito principale della Chiesa non è di costruire muri ma ponti, di stabilire un dialogo con tutti». Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin «ha scritto che dobbiamo farci prossimi di ogni persona, dobbiamo essere degli accumulatori dell’amore di Dio». In questo orizzonte, chiarisce mons. Galantino, «l’atteggiamento della Chiesa non è quello di chi subito spara al primo che parla e che dice cose contrarie, ma si tratta di capire, di rendersi conto, ma di mettersi di fronte a queste realtà in maniera critica, laddove critico significa conoscendo la posizione dell’altro, capendo dove vuole arrivare».

«Io ho l’impressione – prosegue il segretario Cei – che su queste realtà la stanno facendo da padrone spesso le posizioni di chi non accetta di sedersi al tavolo, di ragionare, ma non invocando subito il Vangelo o i documenti della Chiesa ma cercando di mettere in comune realmente le ragioni che ci portano a dare una risposta». «Gli uomini di Chiesa non sono fuori del mondo: il problema di far passare la Chiesa come quella che deve necessariamente mettersi contro, come quella che ritarda il progresso mi pare un po’ forzata. Grazie a Dio sta crescendo anche all’interno della Chiesa questa attenzione alla ‘nuova sensibilità’, questa capacità di leggere al netto di un’eccessiva emotività eventi e mutamenti culturali», che «non vuol dire subito e solo sposarli in pieno, né tantomeno perdere la capacità di ragionare di fronte a certi cambiamenti culturali». «Al netto delle nostre elucubrazioni è importante il rispetto per la persona così come sta dinnanzi a noi, capire di che si tratta, attenti però a non volere subito trasformare i diritti del singolo in punti di partenza perché diventino necessariamente i diritti di tutti. Questo è diverso».