Mondo

Nicaragua: i paramilitari riconquistano il quartiere di Monimbó a Masaya. Il parroco: «Un genocidio»

Un migliaio di paramilitari con armi pesanti e sofisticate hanno assediato ieri Monimbó fin dalle 6 del mattino e hanno vinto la resistenza dei cittadini. Ne è seguita una caccia all'uomo di casa in casa. Le drammatiche testimonianze del parroco e di un salesiano.

Era il quartiere simbolo della resistenza al regime di Daniel Ortega e le barricate erette fin dal 19 aprile non erano finora state abbattute dalle forze speciali. Qualche settimana fa gli stessi vescovi si erano precipitati in quelle strade e avevano fatto da scudi umani. Il quartiere di Monimbó, nella città di Masaya, la culla del folclore nicaraguense, è invece caduto ieri di fronte a un attacco di carattere militare: un migliaio di persone con armi pesanti e sofisticate hanno assediato Monimbó fin dalle 6 del mattino e hanno vinto la resistenza dei cittadini, dotati solo di qualche mortaio artigianale. Una volta passate le barricate i paramilitari si sono riversati nelle strade ed è iniziata la caccia all’uomo, di casa in casa.

Difficile fare un bilancio, il vescovo ausiliare di Managua, mons. Silvio José Báez, originario proprio di Masaya, su Twitter parla di notizie ancora incerte. Un primo bilancio parla di tre vittime, ma è assai probabile che siano di più, anche per la difficoltà a soccorrere i feriti in una città assediata. Molte le persone catturate e arrestate (una quarantina, secondo i primi dati).

Proprio da Masaya il Sir ha raccolto una breve dichiarazione di padre José Bosco Alfaro, salesiano e direttore del Collegio Don Bosco di Masaya: «La polizia e i paramilitari sono entrati e hanno preso la città, stanno smantellando le barricate e si sono riversati sulle strade della città. Noi stiamo bene e hanno rispettato per fortuna il nostro Collegio. Molti manifestanti sono fuggiti per evitare di essere massacrati, ma altri sono stati arrestati».

Sempre da Monimbó arriva la drammatica testimonianza del parroco, padre Augusto Gutiérrez, che piangendo ha rilasciato un’intervista all’emittente spagnola radio Cope. L’audio dell’intervista è stato fatto pervenire al Sir. «Gli attacchi sono durati quattro ore, avevano armi pesanti, poi sono entrati nel quartiere. Stanno profanando chiese, uccidendo, stanno minacciando di morte noi sacerdoti». Non c’è altro nome che «genocidio» per descrivere quello che sta succedendo.

Il parroco, nell’intervista, ricorda che la popolazione del quartiere «è gente semplice, un quartiere indigeno, dove vivono soprattutto artigiani». E prosegue dicendo che Ortega si appresta a celebrare la festa nazionale del 19 luglio «sul sangue del popolo». E tra le lacrime rivolge un appello ai governi e alla comunità internazionale: «Non lasciateci morire, intervenite, qui è un massacro».