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Nigeria, Caritas Maroua-Mokolo: «Rischio di una tragedia umanitaria»

«Se nessuna azione sarà organizzata nelle prossime settimane il rischio di una tragedia umanitaria sarà inevitabile». A richiamare l'attenzione sulla situazione dei rifugiati nigeriani accolti nel nord del Camerun è la Caritas della diocesi di Maroua-Mokolo, al confine con lo stato nigeriano di Borno.

Un’area montuosa dove, da circa un anno, sono iniziate ad arrivare famiglie, in prevalenza cristiane e animiste, in fuga dalle violenze di Boko Haram e dagli scontri in corso con l’esercito. Un flusso migratorio che ha subito un’accelerazione nelle ultime settimane quando, nella sola giornata del 10 giugno, circa 10mila persone hanno varcato il confine. Con l’incombere della stagione delle piogge, che potrebbe aggravare la situazione, i referenti della Caritas di Maroua-Mokolo hanno deciso di lanciare un appello per richiamare l’attenzione internazionale sulla situazione delle 40mila famiglie rifugiate nei distretti di Koza e Mayo e nel dipartimento di Mayo Sava. «Notiamo con rammarico – scrive in una lettera il referente della Caritas Edouard Kaldapa – un completo silenzio riguardo alla situazione di queste popolazioni rifugiate. Da più di un anno dura questa situazione e né i media nazionali né quelli internazionali se ne sono occupati. Nessuno vuole correre il rischio di avvicinarsi a queste zone isolate dei Monti Mandara e dell’Estremo-Nord, eppure i bisogni sono urgenti».

Secondo quanto riportato, la situazione si sarebbe ulteriormente aggravata il 10 giugno scorso con l’arrivo, in poche ore, di circa 10mila persone. Edward Kaldapa racconta di due uomini che hanno provato a fare rientro nelle proprie case per recuperare gli effetti personali, ma sorpresi lungo la strada dai miliziani, sono stati fermati e uccisi. È necessario offrire una risposta rapida a questi rifugiati», scrive il referente della Caritas diocesana che nei giorni scorsi ha fatto visita ai villaggi di Zhéléved e Vreket dove vivono circa 3mila profughi che hanno trovato riparo all’interno di chiese e cappelle. A preoccupare è prima di tutto il difficile accesso all’acqua, ma anche le pessime condizioni igieniche «per cui non si esclude il rischio di epidemie di colera» e la mancanza di cibo. «Il poco che questo persone hanno portato con loro finirà presto – racconta Kaldapa -. Stiamo entrando nella stagione delle piogge e questo è il momento d’impegnarsi nei campi per raccogliere il necessario per sfamare le famiglie, ma senza terra a disposizione per i rifugiati sarà difficile». Il tutto in un clima d’incertezza generale. «Malgrado la presenza di alcuni elementi del Battaglione d’intervento rapido (le forze speciali dispiegate nella zona dal governo) – raccontano dalla Caritas – i rifugiati e la popolazione locale vivono nell’inquietudine».