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Onu, 73ª Assemblea generale. Guterres: «Populismo marcia con vigore»

Le contraddizioni sfilano sul podio dell'Assemblea generale. I 53 interventi dei capi di stato presenti passano dal sostegno al multilaterismo e a soluzioni con più interlocutori come auspicato dal re di Giordania, Hussein, per la questione israelo-palestinese e anche dal presidente egiziano Al Sisi; ad una strenua difesa del nazionalismo spacciata per patriottismo, come ha fatto il presidente statunitense Trump.

(da New York) Una bussola morale per la pace e i diritti umani, un catalizzatore di azioni, una guida alle soluzioni, un luogo di convocazione per i popoli: queste sono le Nazioni Unite, guidate dal portoghese Antonio Guterres che nel rapporto presentato alla 73ª Assemblea generale dei leader del mondo ha voluto evidenziare i valori che sottintendono a questa istituzione e la necessità di strategie globali a sfide ancor più globali, dove serve agire, non secondo la mentalità del XX secolo con cui questa assise fu creata, ma secondo gli approcci multilaterali del XXI secolo. Il segretario generale, nel suo discorso di apertura davanti ai capi di stato e di governo tenuto ieri al Palazzo di Vetro, è ben consapevole della crisi di fiducia in cui si dibatte non solo l’istituzione che presiede ma anche «le istituzioni nazionali, gli stati, gli istituti politici, l’ordine globale basato sulle regole, mentre la polarizzazione è in aumento e il populismo marcia con vigore».

Nel 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Guterres si trova di fronte ad «un’agenda dei diritti umani che perde terreno, a valori universali erosi, ad un autoritarismo in aumento, ad una diffusa politica del pessimismo dove si rischia che le profezie si autoavverino e questo mentre il mondo è sempre più connesso e le società sempre più frammentate».

Le contraddizioni sfilano sul podio dell’Assemblea generale dove c’è chi sceglie di chiudere i confini regolari e nel contempo alimenta il lavoro dei trafficanti o c’è chi ignora i diritti umani nella lotta al terrorismo e nel contempo alleva l’estremismo e chi vede nei vicini un pericoli sta in realtà accendendo una miccia di conflitto.

I 53 interventi dei capi di stato presenti passano dal sostegno al multilaterismo e a soluzioni con più interlocutori come auspicato dal re di Giordania, Hussein, per la questione israelo-palestinese e anche dal presidente egiziano Al SisiTrump. Il sovrano hashemita ha chiesto con insistenza il rilancio dei negoziati tra Israele e Palestina, invitando a «respingere le azioni che mettono a repentaglio trattative, sia tramite invasioni illegali e confische di terre, sia con minacce al benessere di bambini innocenti». Re Hussein ha caldeggiato una soluzione pacifica anche per la Siria e ha ricordato « l’onere sproporzionato» del suo Paese nell’accoglienza: «La nostra gente ha aperto le loro case, le scuole, i servizi pubblici, gli ospedali. Abbiamo condiviso le risorse scarse, il nostro cibo, l’energia, la nostra preziosa acqua».

Di diverso avviso invece è Donald Trump che ha annunciato di non aderire al Global Compact for migration, l’accordo internazionale sulla gestione delle migrazioni poiché espressione di quel globalismo rifiutato dalla sua dottrina sull’America first: «L’America è governata dagli americani e noi abbracciamo la dottrina del patriottismo, dove le nazioni devono difendere la loro sovranità anche da altre forme di coercizione e dominio». Il presidente americano ha usato il palcoscenico internazionale per sottolineare i successi della sua politica economica, e la sala non ha resistito alle risate, ascoltando gli elogi a se stesso sparsi a larghe mani. Purtroppo non sono mancate le critiche alla Commissione dei diritti umani da cui gli Usa si sono tirati indietro.

Dure sono state anche le parole rivolte alla Corte penale internazionale che in suolo americano, per Trump, «non ha giurisdizione, nessuna legittimità e nessuna autorità», perché con la sua azione universale viola i principi di giustizia, equità e giusto processo dei singoli stati. E infine sono arrivate le minacce all’Iran, alla Siria, allo Yemen, alla Cina e al Venezuela.

Rispondendo alle accuse statunitensi il leader iraniano, Hassan Rouhani ha denunciato con forza la decisione Usa di ritirarsi unilateralmente dall’accordo nucleare internazionale del 2015 e ha definito le azioni di Trump «un tentativo di indebolire le istituzioni globali, mostrando totale disprezzo dell’ordine internazionale». Nonostante sia stato accusato di diffondere «caos, morte e distruzione» in Medio Oriente, Rouhani respinge al mittente i giudizi ribadendo che tali atteggiamenti in sede internazionale «incoraggiano le tendenze estremiste, razziste e xenofobe». Il presidente iraniano ha chiesto di riprendere il dialogo sotto l’egida delle Nazioni Unite e ha dichiarato illegittime le sanzioni unilaterali che gli Usa intendono imporre poichè non tengono conto degli impegni onorati sulla denuclearizzazione e sono al di fuori del diritto internazionale.

La leadership multilaterale è uno dei punti cruciali di questa prima giornata anche se non si nomina apertamente. Del resto Guterres nel suo discorso di indirizzo ha precisato che solo la «cooperazione internazionale è in grado di garantire la pace, difendere i diritti umani e guidare il progresso economico e sociale», anche se occorre una riforma delle Nazioni Unite, al fine di renderle più efficaci nel rispondere ai bisogni e alle aspirazioni dei popoli. L’attuale funzionamento dell’Onu, infatti, viene giudicato negativamente anche dal presidente Macron che nel suo intervento lo definisce «simbolo di impotenza», mentre il Consiglio di sicurezza «ostacola la capacità collettiva della comunità internazionale di affrontare le crisi preferendo soluzioni unilaterali a tutela di propri interessi, senza valutare che tale politica porta all’isolamento e al conflitto».

Macron tira una stoccata anche al presidente Usa sugli accordi di Parigi e invita i Paesi dell’Assemblea a non firmare accordi commerciali con chi rifiuta di aderire alle norme sul clima.

Ancora una volta è un presidente, stavolta francese, a voler imporre delle politiche, anche su questioni delicate come quelle ambientali. Il cambiamento climatico, infatti, è uno dei temi cruciali affrontati da Guterres che per settembre 2019 lancia un vertice in cui si riuniranno «Paesi e città, l’economia reale e la politica reale, gli affari, la finanza e la società civile» per permettere di riflettere anche sull’efficacia della green economy che ha portato a ben 24milioni di posti di lavoro in più e ad una prospettiva di guadagno di 26 trillioni di dollari per il 2030.

Positivo è il bilancio anche dell’Azione di peacekeeping intrapresa quest’anno all’insegna della prevenzione e del dialogo: il segretario commenta favorevolmente gli accordi di pace tra Etiopia ed Eritrea, quelli in Sudan, il disgelo con la Somalia e il lavoro dei caschi blu in Liberia. Il metodo di Guterres è chiaro: «Dobbiamo andare avanti sulla base dei fatti, non della paura: sulla ragione, non sull’illusione e dobbiamo rinvigorire il nostro progetto multilaterale», ha ribadito nelle sue conclusioni. Citando, poi, uno dei suoi predecessori, Kofi Annan, ha ripetuto: «Il mondo condivide un destino comune e tutti possono dominarlo, solo se lo affrontano insieme».