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Pena di morte: voci da tutto il mondo nel congresso dei ministri della giustizia

Anche il ministro Paola Severino ai lavori del VII Congresso internazionale dei ministri della Giustizia «Per un mondo senza pena di morte».

«Giustizia e vita sono due parole che stanno o cadono insieme, non c’è l’una senza l’altra, se togli una, cade l’altra, se togli la vita, cade la giustizia, è un punto saldo, fermo, per la riflessione, ma anche un programma d’azione e un impegno politico». Lo ha detto il ministro della Giustizia italiano, Paola Severino, aprendo stamane i lavori del VII Congresso internazionale dei ministri della Giustizia «Per un mondo senza pena di morte», organizzato a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio con il sostegno della Commissione europea e la Confederazione Svizzera. Robert Badinter, ministro della Giustizia francese all’epoca Mitterand, l’uomo che nel 1981 presentò all’Assemblea nazionale il disegno di legge per l’abolizione della ghigliottina, ha ricordato i passi avanti fatti nella lotta contro la pena di morte. «Quando la Francia abolì la pena capitale – ha affermato – eravamo il 37° paese a farlo. Oggi sono oltre 150 i paesi che hanno abolito, e l’abolizione è divenuta opzione maggioritaria». Per Badinter, «uno Stato non può dichiararsi paladino dei diritti umani se poi pratica in casa sua la pena di morte». Inoltre, «la pena di morte è il luogo dove si manifestano i peggiori veleni della giustizia, come il razzismo e la discriminazione». «Non ho mai visto – ha aggiunto – un figlio di banchiere o di un grande avvocato finire nel braccio della morte». (segue)

Mario Marazziti, portavoce di Sant’Egidio, ha sottolineato che «quando lo Stato uccide in nome della comunità abbassa tutta la comunità al livello di chi uccide». Marazziti ha anche ricordato una recente indagine statunitense che ha evidenziato che delle 15978 sentenze eseguite nella storia degli Usa, solo 30 hanno riguardato bianchi che avevano ucciso neri, mentre negli altri 15948 casi le esecuzioni hanno riguardato membri di varie comunità etniche per aver ucciso dei bianchi. Dagli Usa è arrivata la testimonianza di George Kain, professore di diritto della State University of Connecticut e dirigente della polizia del suo Stato, che si è detto felice che il Connecticut sia uno dei 5 Stati degli Usa ad aver abolito la «barbarie della pena di morte negli ultimi anni». Buone notizie sono arrivate dall’Africa. Il ministro degli Interni dello Zimbabwe, Theresa Makone, ha affermato che nel suo paese, abolizionista de facto perché senza esecuzioni da 32 anni, i tempi sono maturi per una revisione costituzionale che porti all’abolizione de jure. «Il mio primo ministro – ha detto Makone, facendo riferimento a Morgan Tsvangirai, oppositore di Mugabe e che ha rischiato di essere condannato a morte per tradimento – dice sia pubblicamente sia in privato che continuando a praticare l’occhio per occhio lo Zimbabwe rischia di diventare un paese di ciechi».

Il rappresentante della Repubblica Centrafricana, Dominique Said Panguindji, ha fatto notare la contraddizione tra la costituzione del suo Paese che nei primi due articoli dichiara la sacralità della vita e il divieto assoluto di tortura e violenze, con il recente codice penale che ancora prevede l’esecuzione per l’omicidio e lo stupro. Ma ha anche annunciato la formazione di un Comitato che porti avanti la lotta per l’abolizione de jure anche in Centrafrica. «Nessuna deroga al diritto alla vita e quindi il no alla pena di morte è un diritto più assoluto tra i diritti assoluti», ha affermato l’ex presidente della Corte costituzionale, Valerio Onida, per il quale uno dei motivi ostativi alla pena di morte è che essa viene meno al principio della risocializzazione che di per sé non è compatibile con la pena capitale. C’è stata, poi, la testimonianza di Marat Rakhmanov: russo, a 28 anni si è ritrovato dentro il braccio della morte accusato di duplice omicidio in Usbekistan, che non aveva commesso. «Non avrei mai pensato di trovarmi dentro un allucinante esperienza peggiore di qualsiasi incubo», ha ammesso. Otto anni nel braccio della morte, vittima di violenze di ogni genere e poi l’insperata liberazione grazie all’interessamento di Tamara Cikunova e della Comunità di Sant’Egidio che sono riusciti a dimostrare la sua estraneità al duplice delitto.

 «Coniugare l’impegno concreto e la riflessione teorica in favore della battaglia contro la pena di morte: l’assemblea di oggi è la dimostrazione di questo impegno», ha concluso Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio. Impagliazzo ha ripreso alcuni temi chiave degli interventi della mattina: la pena di morte è strumento anacronistico, disumano ed è il concentrato di tutti i valori dell’ingiustizia. E’ discriminazione razziale. Risponde ad un desiderio di vendetta, Ma c’è un progresso costante nel mondo per l’abolizione della pena di morte. In tal senso, il presidente della Comunità di Sant’Egidio ha inviato un appello al mondo della politica e della cultura: deve crescere la mobilitazione. Il mondo è preso da tante paure ma non si governa il mondo con la paura. Infine non va dimenticato il carcere, luogo di sofferenza e discriminazione che di giorno in giorno diviene sempre più insopportabile.