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Per la Chiesa Usa la questione razziale non è archiviata

L'arcivescovo di Boston, Seán O'Malley: «La dignità di ogni persona deve essere rispettata e protetta e, al contempo, la sicurezza di ognuno deve essere garantita». Il vescovo John H. Ricard, presidente del National Black Catholic Congress: «La Chiesa deve giocare un ruolo sempre più forte come è stato all'epoca del movimento per i diritti civili con l'obiettivo di rendere il sistema più equo».

Giustizia sociale e non violenza. Dialogo costruttivo tra forze dell’ordine e cittadini, caratterizzato dal rispetto reciproco. Questa la posizione dei vescovi americani mentre non si fermano le proteste in tutto il Paese contro la polizia accusata dai manifestanti di restare impunita di fronte a evidenti errori di cui sono vittima soprattutto gli afroamericani. «Possiamo essere di diversi gruppi etnici ma facciamo tutti parte della stessa umanità», scrive l’arcivescovo di Boston, monsignor Seán O’Malley, sul suo blog. «Un dialogo produttivo e una vera cooperazione tra le nostre comunità e chi lavora per assicurare l’ordine è di cruciale importanza. La dignità di ogni persona deve essere rispettata e protetta e, al contempo, la sicurezza di ognuno deve essere garantita».

II caso Garner e Brown. L’ultimo eclatante caso che ha scatenato accese reazioni da New York a Los Angeles è stato quello dell’afroamericano Eric Garner, un venditore ambulante di Staten Island a New York. Avvicinato dalla polizia che sospettava vendesse illegalmente sigarette sfuse, Garner ha chiesto di essere lasciato in pace. Al che un agente bianco, Daniel Pantaleo, gli ha stretto un braccio al collo finendo per soffocarlo. E questo nonostante l’uomo avesse più volte ripetuto di non riuscire a respirare. Il video dell’incidente ha fatto il giro del web sollevando l’indignazione generale. Il gran giurì, però, non ha incriminato Pantaleo. Un altro intervento della polizia recentemente non sanzionato è quello accaduto a Ferguson in Missouri. Quest’estate un poliziotto bianco, Darren Wilson, ha ucciso un ragazzo nero, Michael Brown, con sei colpi di pistola. La tragedia ha fatto esplodere la rabbia della popolazione locale prevalentemente afroamericana, e ha messo in discussione il mito che ormai il razzismo negli Stati Uniti sia stato consegnato ai libri di storia.

Questione razziale. «Le divisioni razziali che esistono tra neri e bianchi non vengono affrontate in modo adeguato salvo quando poi si verificano fatti di questo tipo», spiega il vescovo emerito John H. Ricard di Pensacola-Tallahassee, in Florida, presidente del National Black Catholic Congress. «La Chiesa deve giocare un ruolo sempre più forte come è stato all’epoca del movimento per i diritti civili con l’obiettivo di rendere il sistema più equo». Il presidente americano si chiama Barack Hussein Obama ed è nero, così come lo sono apprezzatissime star della televisione (basti pensare a Oprah Winfrey), del cinema (Denzel Washington, Will Smith, Morgan Freeman) e dello sport (da Serena e Venus Williams a LeBron James, a Kobe Bryant). Ma queste sono eccezioni. In media il divario economico tra i bianchi e i neri in Usa è rimasto il medesimo dal 1963. Il tasso di povertà degli afroamericani è sceso tra il 1959 e il 1972 passando dal 55 al 32%, tuttavia da quel momento in poi i passi in avanti sono stati piccolissimi. Nel 2011 le famiglie afroamericane sotto la soglia della povertà erano il 27,6%, circa il triplo di quelle bianche, stando ai dati del Census Bureau, l’Istat americano.

Sogno disatteso. «In sostanza dal famoso discorso di Martin Luther King ai 250mila americani che si radunarono al Lincoln Memorial di Washington nel 1963 a oggi, per i neri americani non è cambiato praticamente nulla», spiega al Sir William Darity, professore di politiche pubbliche, economia e studi afroamericani alla Duke University. «Certo, la povertà è diminuita per tutti, ma il divario tra i neri e i bianchi è rimasto pressoché immutato nell’ultimo mezzo secolo». Martin Luther King non aspirava a questo tipo di società. E «il reverendo troverebbe forse poco confortanti anche i dati sul crimine e la disoccupazione». Infatti, con una popolazione nera che rappresenta il 14% del totale, gli afroamericani costituiscono il 37% della popolazione carceraria, e la percentuale sale al 42% tra i condannati a morte. Il 32% dei minori in carcere è nero; afroamericano è il 45% degli arrestati per crimini legati allo spaccio di droga. E i numeri relativi all’occupazione non sono migliori. Se oggi la percentuale generale della disoccupazione negli Stati Uniti si aggira intorno al 5,8%, tra gli afroamericani è il doppio.

Narrative divergenti. Nonostante questi dati, i bianchi americani ritengono in maggioranza che gli Stati Uniti siano una società post-razziale, dove il colore della pelle non ostacola il sogno americano. Per il 44% dei bianchi intervistati dal Pew Research Center, infatti, le proteste di Ferguson sono state esagerate. Al contrario, per l’80% dei neri la morte di Michael Brown pone importanti questioni razziali da non sottovalutare. E la Chiesa cattolica, come altre fedi religiose, ritiene che il problema del razzismo o comunque delle diverse opportunità tra i bianchi e il resto della popolazione permanga nel Paese.