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«Radici cristiane», la delusione delle Chiese

“Non si possono tagliare le radici dalle quali proveniamo”. Con queste parole, pronunciate in polacco, Giovanni Paolo II ha commentato l’approvazione del Trattato costituzionale europeo, avvenuta a Bruxelles nella serata del 18 giugno. Nell’Angelus di domenica 20 giugno, il Papa riferendosi al mancato riconoscimento delle radici cristiane nel testo della nuova Costituzione ha elogiato “la Polonia che al Foro europeo ha difeso fedelmente le radici cristiane del nostro continente, dalle quali è sorta la cultura e lo sviluppo della civiltà dei nostri tempi. Non si possono tagliare le radici dalle quali proveniamo”.

“E’ mancato il coraggio”. “Felici per quello che è scritto nel Trattato ma amareggiati per quello che non si è avuto il coraggio di scrivere ovvero il riconoscimento esplicito delle radici cristiane dell’Europa. Non si è avuto il coraggio dare il nome alla nostra identità, a quella di ieri e a quella del futuro”. Lo ha detto al Sir mons. Aldo Giordano, segretario del CcEe, il Consiglio delle Conferenze episcopali europee, commentando la recente approvazione della Costituzione europea in cui non si fa menzione delle radici cristiane dell’Europa. “Non si tratta di un rincrescimento per le Chiese ma per l’Europa – dice mons. Giordano – rincresce che l’Europa non ha colto questa occasione per tentare, almeno simbolicamente, un salto di qualità”. Purtroppo c’è ancora chi pensa che il Vangelo sia un rischio per la laicità”. La mancata citazione delle radici cristiane, prosegue, “provoca delusione per un’attesa che in Europa c’era ed anche in molti Paesi dell’Est. Non abbiamo avuto rispetto per quei Paesi che sotto il comunismo guardavano alla libertà dell’Occidente per avere un po’ di respi ro anche per la fede. Ora si sentono traditi due volte. Se c’era questo riferimento la maggioranza di noi europei, soprattutto dell’Est, si sarebbe trovata più a casa invece siamo dentro una costruzione dove ci sentiamo ospiti, se non stranieri”. “Ora i cristiani sono davanti ad un grande compito – conclude -. Visto che nel preambolo è citata la religione la responsabilità dei cristiani è quella di non lasciarla svuotare di significato ma darle un contenuto di vita, di progetti e di proposte, specialmente quando si parla della dignità umana e della libertà. L’articolo 51 apre un grande spazio dove concretizzare un dialogo trasparente e regolare con le Istituzioni sui temi di comune interesse e chiedere quello che il Trattato prevede”.

“Un’occasione mancata”. Sullo stesso piano anche la Comece, la Commissione degli episcopati della Comunità europea, che in una nota del segretario generale mons. Noël Treanor, definisce l’assenza del riferimento alle radici cristiane dell’Europa “un’occasione mancata di costruire sulla base del nostro patrimonio comune un avvenire aperto a tutti”. Resta la soddisfazione per la “maniera con cui il Trattato riconosce e garantisce la libertà religiosa così come il ruolo delle comunità religiose nella vita pubblica”. “L’art. 51, equilibrando lo spirito di apertura tra il religioso e il politico, con la giusta separazione delle due sfere – afferma Treanor – rappresenta un nuovo approccio alla ‘governance’ della società europea del 21° secolo”. Ad avviso di Treanor “il preambolo rivisto costituisce una descrizione più equilibrata e più esatta della fonte dei valori dell’Ue. Riferendosi sin dalle prime parole alla eredità culturale, religiosa e umanista dell’Europa, il Trattato sottolinea il ruolo formatore di questo patrimonio, di cui il Cristianesimo ricopre un ruolo essenziale, per l’Europa di oggi”. Tuttavia, conclude, “la soddisfazione per l’adozione della Car ta deve essere congiunta alla determinazione per assicurare la ratifica nei venticinque Stati membri. I dirigenti politici dell’Eu dovranno assumersi le loro responsabilità per informare i cittadini del significato che il Trattato ha per tutti”.

“Un riferimento sarebbe stato visto con favore”. “Nonostante il riconoscimento dell’identità e dello speciale contributo delle Chiese in Europa presenti nell’articolo 51, molte Chiese appartenenti alla Conferenza delle Chiese europee (Cec-Kek), avrebbero salutato con favore un esplicito riferimento alle radici cristiane dell’Europa nel preambolo della Costituzione”. Così si legge in un comunicato diffuso dalla Cec-Kek subito dopo l’approvazione della Costituzione europea avvenuta a Bruxelles lo scorso 18 giugno. “Costernazione” viene espressa a proposito dell’enfasi data all'”aumento delle capacità militari negli Stati membri piuttosto che alla prevenzione dei conflitti come stabilito a Göteborg nel 2000″. Non mancano, tuttavia, rilievi positivi alla Carta, considerata “un importante passo avanti nel processo di integrazione europea” e particolare “apprezzamento” viene rivolto al “ruolo rafforzato del Parlamento europeo per quanto riguarda il diritto d’asilo e le migrazioni”. La Cec-Kek, infine, saluta con favore “l’impegno dell’Ue di mantenere aperto, trasparente e regolare il dialogo con le Chiese e le comunità religiose”.

Germania: ricordare le origini per dare forma al futuro. Il card. Karl Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca e il vescovo Wolfgang Huber, presidente del consiglio della Chiesa evangelica hanno commentato il raggiunto accordo per la Costituzione europea in una dichiarazione congiunta rilasciata il 19 giugno. Circa il riferimento alle eredità religiose, inserito nel preambolo, le Chiese tedesche fanno notare che con esso “s’intende soprattu tto l’eredità giudaico-cristiana”: pertanto, aggiungono, “deploriamo il fatto che i capi di Stato e di governo non si siano accordati su una menzione esplicita di questo fatto storico”. Lehmann e Huber lamentano altresì l’assenza di “un riferimento alla responsabilità davanti a Dio, che avrebbe avuto il fine di evidenziare come qualsiasi ordine umano sia provvisorio, fallibile e imperfetto e che la politica non è mai qualcosa di assoluto”, poiché, aggiungono, “è importante rammentare costantemente questa provvisorietà di qualsiasi ordine politico e riportare sempre la persona al centro della politica europea” ed “è sempre necessario ricordare l’origine del nostro continente, per poter dar forma al futuro”. Le Chiese giudicano comunque l’accordo raggiunto a Bruxelles “un importante passo verso l’integrazione europea per garantire la pace e il benessere delle persone” e sottolineano: “È particolarmente significativo che il nuovo trattato costituzionale esprima chiaramente il legame ai valori dell’Unione europea”. In tal modo, “la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è integrata nel testo costituzionale, molti elementi democratici sono rafforzati e il principio di sussidiarietà viene ulteriormente sviluppato”, facendo propri “i desideri sempre manifestati dalle Chiese” in tal senso. Lehmann e Huber valutano positivamente anche “il rispetto dell’Unione verso lo status delle Chiese e delle comunità religiose negli Stati membri e il riconoscimento delle Chiese quali partner del dialogo sociale”.

Slovenia: “adesso non dimentichiamoci di questi valori”: “Siamo molto dispiaciuti per questa assenza del richiamo delle radici cristiane dell’Europa nella Costituzione europea. Questi valori sono stati e sono ancora adesso molto importanti nella costruzione dell’Europa dei Venticinque”. Ad affermarlo mons. Andrej Saje, segretario generale della Conferenza episcopale slovena e portavoce dei vesco vi. “Adesso, alla luce di quanto si legge nella nuova Costituzione – dichiara al Sir – sarebbe imprudente, specialmente per noi Cristiani, dimenticarli. Nell’articolo 51 si cita esplicitamente l’importanza del dialogo trasparente e continuo tra Istituzioni, Chiese ed associazioni religiose. Bisogna ripartire da qui. E’ un elemento positivo di questa Costituzione”. Circa l’impegno del Governo sloveno a favore delle radici cristiane dell’Europa, mons. Saje ricorda che “il nostro Governo aveva espresso una posizione di neutralità a riguardo. Qualche mese fa il presidente dei vescovi sloveni, mons. Franc Rodé, aveva scritto una lettera su questa tema per sensibilizzare politica e opinione pubblica. Ma la posizione del nostro Governo non è mutata”. “Un vero peccato – conclude – perché sarebbe stato importante per le nostre Chiese che, perseguitate per decenni dai regimi comunisti, hanno sempre guardato all’Occidente come terra di libertà e di espressione religiosa”.

Cipro: “una scelta che lascia perplessi”. “Ora c’è il rischio per i cristiani di ritornare nelle catacombe”. Il mancato riferimento alle radici cristiane dell’Europa non è stato ben accettato a Cipro, dove il vicario latino di Nicosia, padre Umberto Barato, mette in guardia da un “certo laicismo che non vede certo con favore l’espressione religiosa. Qui a Cipro, poi, la stampa non si è occupata di questi temi passati completamente sotto silenzio”. “Non ci resta – conclude – che andare avanti per la nostra strada continuando ad operare per il bene comune come abbiamo fatto finora. E’ la migliore forma di testimonianza di quesi valori cristiani che hanno voluto, inutilmente, misconoscere. Lunedì 21 giugno mi sono recato presso il palazzo presidenziale per ricevere una sovvenzione a favore della Ong che abbiamo costituito e che si occupa degli immigrati nell’isola. E’ stato possibile ottenere questa sovvenzione grazie alla legge di tutela delle minoranze etniche e religiose. Qui a Cipro, infatti, siamo ormai una minoranza da tutelare”.

PAPA: COSTITUZIONE EUROPEA, «NON SI POSSONO TAGLIARE LE RADICI DALLE QUALI PROVENIAMO»