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Repubblica Centrafricana, i cristiani chiedono il disarmo di tutti i combattenti

Padre Elysée Guedjande, direttore della Caritas della Repubblica centrafricana, è in questo periodo a Roma per presentare il programma di aiuti umanitari d'emergenza. Inoltre sta seguendo cure mediche e riabilitative a causa del ferimento da parte di due miliziani ex-Seleka. Un quadro disperato di morte e di violenze. La popolazione terrorizzata necessita di tutto. Non c'è un corridoio umanitario.

Sul corpo porta ancora i segni delle violenze in corso nel suo Paese, la Repubblica Centrafricana, dopo il golpe di marzo che ha portato al potere la coalizione Seleka. «La sera del 19 luglio a Bangui sono stato vittima di un attacco di due ex-Seleka: volevano rubare l’automobile della Caritas. Eravamo in tre, mi hanno sparato e la pallottola ha attraversato la gamba. Per fortuna non ha toccato l’osso. Sono stato un mese in ospedale ma ancora non riesco a camminare bene né a muovere le dita del piede». A parlare è padre Elysée Guedjande, direttore della Caritas della Repubblica centrafricana, in questo periodo a Roma per presentare il programma di aiuti umanitari d’emergenza e seguire cure mediche e riabilitative.

La situazione nel suo Paese in questi giorni è gravissima, con scontri tra le milizie ex-Seleka e gli anti-Balaka (balaka in lingua sangho significa «machete»), cittadini che si sono organizzati per difendersi. Vi sono centinaia di vittime e decine di migliaia di sfollati, che si sono rifugiati presso parrocchie e strutture cattoliche a Bangui, Bossangoa, Bozoum. Le milizie entrano addirittura negli ospedali e uccidono le persone. Dopo la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu la settimana scorsa sono arrivati a Bangui 1.600 soldati francesi, che si aggiungono ai 2.500 militari della Missione internazionale di sostegno al Centrafrica (Misca). Due francesi sono stati uccisi nei giorni scorsi. La gente, terrorizzata, è barricata in casa. Gli aiuti umanitari sono difficili a causa della situazione di instabilità e paura.

Quali notizie dal suo Paese?

«A Bossangoa vi sono circa 40mila sfollati, c’è bisogno soprattutto di aiuti sanitari. A Bangui ci sono 50mila persone nelle chiese, nei monasteri o nell’aeroporto. Da giovedì scorso sono iniziati gli scontri tra ex-Seleka e anti-Balaka. Questo ha reso molto difficile la situazione a Bangui. Ci sono vittime a Bozoum, tante case bruciate e morti a Bossangoa, a Bangui sono state uccise ultimamente 300 persone, tutti civili innocenti. La popolazione per proteggersi dagli attacchi di entrambe le parti si è rifugiata nelle parrocchie. I soldati francesi e quelli della Misca stanno cercando di portare avanti un’operazione di disarmo in alcuni quartieri, ma questo non piace alla Seleka, per cui è impossibile circolare per le strade, la gente è terrorizzata e rimane chiusa in casa. Solo l’arcivescovo di Bangui è riuscito ad uscire con la scorta francese e a fare per tre giorni distribuzione di cibo nelle parrocchie. Ha portato sacchi di riso, sardine, latte e olio. Non ci sono corridoi per gli aiuti umanitari, per cui anche noi siamo bloccati».

Di cosa avete maggiormente bisogno?

«Dobbiamo distribuire cibo e aiuti materiali e rafforzare il personale e le capacità della Caritas in Centrafrica. Ci hanno rubato due auto, ci servono nuovi mezzi di trasporto perché le strade sono molto disastrate».

Quali sono le vere ragioni degli scontri?

«Difficile capire le vere ragioni. È una crisi militare e politica, la coalizione Seleka ha fatto il golpe. Ma attualmente il governo di transizione di Michel Djotodia è incapace di assicurare la sicurezza delle persone e dei beni. Gli anti-Balaka sono dei giovani che hanno reagito quando hanno visto i familiari morire davanti a loro. Ma dietro c’è una strumentalizzazione. Sicuramente ci sono partigiani dell’ex presidente Bozizé che si sono uniti agli anti-Balaka e li spingono a fare azioni contro musulmani. Si sta cercando di spingere le comunità religiose ad entrare in una logica militare, ma non è un conflitto religioso. C’è una piattaforma di collaborazione tra le autorità cristiane e musulmane e stanno facendo un buon lavoro di sensibilizzazione in tutte le comunità per non far entrare i cristiani in questa logica di vendetta».

Le parrocchie sono un luogo sicuro per gli sfollati?

«No, assolutamente. Molte parrocchie sono vulnerabili, ad esempio Notre Dame d’Afrique a Bangui è stata assaltata tre volte dai miliziani della Seleka. Hanno sabotato le vetture. Altre parrocchie sono state prese di mira, hanno rubato i gruppi elettrogeni, ci sono intimidazioni».

 Qual è oggi il suo appello alla comunità internazionale?

«Chiediamo il disarmo della Seleka e degli anti-Balaka. Vogliamo pace e sicurezza per la popolazione. Contiamo molto sui militari francesi e della Misca. E che i centrafricani possano presto andare a votare e decidere il destino del proprio Paese».