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Save the Children: 420 milioni di bambini vivono in aree di conflitto

Sono 420 milioni - uno su cinque - i minori che vivono in aree di conflitto. In occasione dei 100 anni dalla sua fondazione, Save the Children lancia il rapporto «Stop the war on children», accompagnato da una petizione pubblica contro la vendita delle armi italiane usate in Yemen dalla Coalizione a guida saudita.

Fondata nel 1919 all’indomani della prima guerra mondiale, Save the Children compie 100 anni e lancia il suo nuovo rapporto «Stop the war on children» (Stop alla guerra sui bambini), accompagnato da una petizione pubblica contro la vendita delle armi italiane usate in Yemen dalla Coalizione a guida saudita.

Sono 420 milioni – uno su cinque al mondo – i minori che vivono in aree di conflitto, un numero in crescita di 30 milioni rispetto al 2016, raddoppiato dalla fine della guerra fredda ad oggi. Nel 2017 sono oltre 10mila i minori rimasti uccisi o mutilati a causa di bombardamenti, mentre si stima che almeno 100 mila neonati perdano la vita ogni anno per cause dirette e indirette delle guerre, come malattie e malnutrizione, rivela il Rapporto denunciando il deteriorarsi delle condizioni di vita dei più piccoli nelle tante aree di conflitto.

Circa 4,5 milioni di bambini hanno rischiato di morire per fame nel 2018 nei dieci Paesi peggiori in conflitto: Afghanistan, Yemen, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Repubblica democratica del Congo, Siria, Iraq, Mali, Nigeria e Somalia. Le violazioni dei diritti dei minori in queste aree si sono triplicate dal 2010 ad oggi. «Dall’uso di armi chimiche, allo stupro, ai rapimenti, ai reclutamenti forzati, i crimini di guerra continuano a crescere e a rimanere impuniti», spiega Valerio Neri, direttore generale di Save the Children. «È sconvolgente – prosegue – che nel XXI secolo arretriamo su principi e standard morali così semplici: proteggere i bambini e i civili dovrebbe essere un imperativo, eppure ogni giorno i bambini vengono attaccati, perché i gruppi armati e le forze militari violano le leggi e i trattati internazionali».

Sei diritti violati. Secondo l’organizzazione umanitaria, il Consiglio di sicurezza Onu ha identificato sei gravissime violazioni dei diritti dei bambini durante i conflitti.  Anzitutto l’uccisione e la mutilazione. Oltre 10 mila i bambini uccisi o mutilati nel 2017. Solo in Afghanistan oltre 3 mila, la maggior parte dovuti a mine e ordigni inesplosi. Quindi il reclutamento e l’uso dei bambini soldato, fenomeno in crescita del 3% dal 2016 al 2017, (con incrementi significativi in Repubblica centrafricana o la Repubblica democratica del Congo); la violenza sessuale, particolarmente allarmante in Siria e Myanmar. E ancora: i rapimenti (nel 2017 i casi registrati sono aumentati del 62% rispetto all’anno precedente, per un totale di 2556 casi, 1600 dei quali solo in Somalia ad opera di Al Shaabab); gli attacchi a scuole e ospedali, la maggior parte in Siria e Yemen, con il risultato che in entrambi i paesi oltre 2 milioni di bambini si vedono negato l’accesso all’istruzione; la negazione dell’accesso degli aiuti umanitari (più di 1500 i casi in cui è stato impedito l’accesso agli aiuti in aree di conflitto).

Secondo l’analisi di Save the Children sulla base dei report Onu, il numero di violazioni dei diritti dei minori nel 2017 è stato di 25 mila, il numero più alto mai registrato prima. Dal 2010 ad oggi il numero dei bambini che vivono in aree di conflitto è aumentato del 37%, a fronte però di una crescita del 174% del numero di casi di gravi violazioni verificatisi.

Indescrivibili gli orrori subiti da milioni di bambini nello Yemen. Di qui il lancio della petizione pubblica contro la vendita di armi italiane usate nel Paese dalla Coalizione a guida saudita. «Colpiti per strada, bombardati mentre sono a scuola» oppure «rimasti orfani, senza più una casa», spiega Neri.

E le bombe utilizzate dalla Coalizione saudita sono fabbricate anche nel nostro Paese. Rapporti, foto e reportage realizzati in Yemen documentano che resti di  ordigni esplosi in zone civili, su case e villaggi in cui erano presenti famiglie con bambini, recavano il codice A4447 che riconduce ad una fabbrica di armi in Sardegna, la RWM Italia, con sede legale a Ghedi (Brescia) e stabilimento produttivo a Domusnovas (Carbonia-Iglesias). Ecco l’importanza di firmare la petizione per fermare immediatamente la vendita di armi italiane usate contro i bambini. L’Italia, ricorda Save the Children, ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (art. 11 della Costituzione). Uccidere bambini in un conflitto è vietato dal diritto internazionale umanitario. La legge italiana sul controllo di esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento (legge 185/90) proibisce l’esportazione verso paesi che violano i diritti umani. «Chiediamo, quindi, che l’Italia fermi immediatamente l’esportazione di armamenti verso i paesi responsabili delle sei gravi violazioni dei diritti di minori in conflitto armato e che si faccia promotrice di un’iniziativa globale per fermare questo commercio sulla pelle dei bambini in Europa e nel mondo», la prima richiesta. Al ministro degli Affari esteri Save the Children chiede di «fermare immediatamente l’esportazione, la fornitura e il trasferimento di materiali di armamento alla Coalizione saudita, armi che uccidono i bambini yemeniti e che quando anche sopravvivono, distruggono il loro futuro».