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Sicurezza: contro il terrorismo in campo 007 europei e una vera regia politica

Un «decalogo» Ue traccia la linea di difesa e di prevenzione contro gli attacchi dell'Isis e il crimine organizzato. Ma, al di là delle parole, servono azioni urgenti ed efficaci e apparati comuni. Perché «i cittadini hanno paura».

«Siamo determinati nella nostra comune lotta contro il terrorismo. Come affermato dai capi di Stato e di governo e dai responsabili delle istituzioni europee, si tratta di un attentato alla nostra società aperta e democratica. Intendiamo sostenere i nostri valori anche nella lotta contro il terrorismo». Le parole – di ferma condanna della violenza, di solidarietà con vittime e famiglie – e gli impegni di rinnovata collaborazione non mancano. Riunitisi a Bruxelles all’indomani degli attentati del 22 marzo, i ministri degli Interni e della Giustizia dei 28 Paesi Ue hanno firmato una dichiarazione comune volta a contrastare il terrorismo di ogni marca. Un documento che riassume per certi aspetti le migliaia di commenti che abbiamo letto e sentito in questi giorni, comprendente persino un «decalogo» operativo. Ma gli stessi ministri, lasciato il tavolo di lavoro, hanno dichiarato apertamente ciò che già si sapeva: le parole non bastano, occorrono i fatti.

«Cittadini stanchi e impauriti». Il commissario Ue Dimitris Avramopoulos, con delega agli affari interni e alle migrazioni, commentando la situazione delineatasi in questi giorni alla luce dei fatti dell’aeroporto di Zaventem e della metropolitana di Maelbeek, è stato il più esplicito di tutti. «Questi attacchi sono uno shock, ma non una sorpresa. Ogni volta assumiamo impegni a parole, che non servono a niente se poi non vengono realizzati».

Avramopoulos parte dalla constatazione che «i cittadini sono stanchi, impauriti», per questo bisogna agire. «Tutti devono prendersi la propria responsabilità». Quindi una annotazione assolutamente realistica: «Manca la fiducia tra i Paesi», i quali non collaborano. E fa un esempio lampante: «I terroristi che hanno attaccato a Bruxelles erano noti ai servizi di intelligence. Se avessimo condiviso le informazioni, avremmo potuto prevenire. E lo stesso si poteva fare per quelli che hanno attaccato a Parigi».

Intrecci perversi. La realtà è complessa, per cui le risposte semplicistiche abbozzate da qualche politico facilone o commentatore volutamente superficiale servono a nulla. Non basta dire che il Belgio è un colabrodo. Ci si dimentica che attentati simili si sono verificati in Francia, Spagna, Regno Unito. E che diversi altri Paesi europei hanno al loro interno sacche di criminalità altrettanto violente e capaci di fagocitare interi settori economici e aree geografiche e sociali: basterebbe pensare alle mafie che operano in Italia oppure nei Paesi balcanici, in Bulgaria, in Romania. La verità è un’altra: terrorismo e criminalità organizzata non hanno confini, spesso si intrecciano tra loro e hanno vaste basi di appoggio nei Paesi terzi, si alimentano finanziariamente con droga, commercio di armi, tratta e ripulendo il denaro sporco con la complicità di talune banche e aziende. Dunque se il terrorismo «sconfina», la giustizia e il contrasto al terrorismo devono fare altrettanto.

Convergenze europee. La risposta può venire solo da una progressiva, profonda, organizzata azione di convergenza delle forze di polizia, delle magistrature, dell’intelligence: una risposta europea, con adeguate cessioni di sovranità, che valorizzi quanto già esiste (Europol, Eurojust) e crei, se occorrono, nuove strutture operative, sotto una condivisa regia politica e con adeguati finanziamenti. E una stretta collaborazione con altri Paesi (a partire dagli Stati Uniti) seriamente intenzionati a colpire l’Isis, a tagliare la strada ai foreign fighters e a ogni altra cellula terroristica che cresce e si mimetizza nelle nostre stesse città.

Da dove partire? Qualcosa del genere traspare nel «decalogo» dei ministri europei, i quali dichiarano solennemente che occorre «progredire partendo dall’unione degli sforzi nazionali al fine di indagare sulle reti coinvolte negli attentati di Parigi e di Bruxelles e su altre reti analoghe»; è necessario «adottare nell’aprile 2016 la direttiva Pnr (condivisione dei dati dei passeggeri aerei, ndr) e attuarla in via d’urgenza». I ministri indicano, inoltre, il rapido completamento della legislazione in materia di lotta contro il terrorismo, verifiche sistematiche alle frontiere esterne dello spazio Schengen, il controllo del mercato delle armi da fuoco, l’estensione del sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari ai cittadini di Paesi terzi, l’attuazione del piano per la lotta contro il finanziamento del terrorismo. Nonché agire sul piano della prevenzione della radicalizzazione, «contrastando la retorica di Daesh» attraverso adeguate «strategie di comunicazione». Molto debole, poi, quel riferimento a «ricorrere con maggiore regolarità alle squadre investigative comuni», quando servirebbe un sistema di 007 europei. Si tratta infatti di avere maggiore – e non minore – integrazione europea. I fatti di Bruxelles lo dimostrano per l’ennesima volta.