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Su India e Pakistan lo spettro di Bin Laden

Per gli europei è difficile concepire un territorio senza il comando di un'autorità governativa. Eppure, nella cosiddetta zona tribale, in territorio pakistano al confine con l'Afghanistan, il presidente Musharraf non conta niente, perché non ha mai contato niente il governo pakistano».Non ha dubbi l'etnografo Antonio Barletti: «Bin Laden è lì, è fuggito nella zona tribale. Non essendo afghano, non aveva nessun interesse a difendere fino alla morte il suolo patrio. L'Afghanistan per lui era solo la base per l'addestramento dei terroristi. Lui non condivide nulla della storia afghana e di fatto quello dei talebani è stato un governo arabo con il Mullah Omar a fare da paravento».DI ANDREA FAGIOLI

DI ANDREA FAGIOLIPer gli europei è difficile concepire un territorio senza il comando di un’autorità governativa. Eppure, nella cosiddetta zona tribale, in territorio pakistano al confine con l’Afghanistan, il presidente Musharraf non conta niente, perché non ha mai contato niente il governo pakistano».Non ha dubbi l’etnografo Antonio Barletti: «Bin Laden è lì, è fuggito nella zona tribale. Non essendo afghano, non aveva nessun interesse a difendere fino alla morte il suolo patrio. L’Afghanistan per lui era solo la base per l’addestramento dei terroristi. Lui non condivide nulla della storia afghana e di fatto quello dei talebani è stato un governo arabo con il Mullah Omar a fare da paravento».Barletti, che vive e lavora a Borgo San Lorenzo, è considerato uno dei massimi conoscitori dell’Afghanistan e delle zone asiatiche limitrofe. «Nell’estate del 1970, all’epoca del primo viaggio, l’Afghanistan fu per me – racconta Barletti – una specie di amore a prima vista: una terra troppo bella, ma anche troppo difficile da capire». Ma lui, che più di altri l’ha capita scrivendoci sopra anche un paio di libri, cerca ora di aiutare i lettori di TOSCANAoggi dopo aver aiutato di recente quelli del «Corriere della Sera» firmando una sintetica quanto preziosa ricostruzione storica.Allora, Barletti, il capitolo talebani è chiuso o no?«Non da tutti i punti di vista. Ma essendo un artificio nella storia afghana, cioè una costruzione dei servizi segreti pakistani con capitali americani e sauditi, i talebani di per sé non esistono. Quello che però gli afghani non hanno capito, o hanno stentato a capire, è che il loro Paese, per la prima volta in una storia trimillenaria, era stato conquistato, non dai talebani, bensì da Bin Laden, cosa che non era mai riuscita a nessuno».Ma qualcuno, adesso, riuscirà a prendere Bin Laden?«È molto difficile perché la zona tribale è una zona autoamministrata dalle tribù pasthun. Ed è chiaro che Bin Laden si era creato lì delle alleanze come se le erano create i mujahiddin durante l’occupazione sovietica. La zona tribale è quella dove si fabbricano le armi, si spaccia la droga e c’è un commercio totalmente libero. Quella frontiera è porosa. Da sempre i nomadi afghani sono passati avanti e indietro senza controllo. Chi viaggiava in auto, fino ad un anno fa, arrivava alle porte di Peshawar e trovava una sbarra oltre la quale c’era la zona tribale dove si entrava a proprio rischio e pericolo. Gli americani non so come potranno agire in quella zona e con quale autorizzazione».Dunque, non ci sarebbero possibilità di prendere il capo di Al Qaeda?«L’unica possibilità era attraverso la famosa taglia di 50 miliardi, ma lui ha sicuramente comprato qualche capo locale con un offerta altrettanto vantaggiosa. Da quelle parti si sono sempre venduti al migliore offerente e regolarmente hanno cambiato le alleanze. È chiaro che Bin Laden ha trovato rifugio in quella zona e da lì poi si è mosso o si potrà muovere perché non è una zona presidiata. Inoltre ho forti dubbi sulle reali intenzioni del Pakistan di consegnare Bin Laden agli americani quand’anche lo potesse catturare».Qual è, se c’è, il legame tra le vicende afghane e l’attuale crisi tra India e Pakistan?«Si potrebbe dire che il conflitto afghano si è sposato con quello indo-pakistano per il Kashmir, che è sotto amministrazione indiana dal 1947, ma è contiguo ed è più volte appartenuto ai governanti afghani. Questo per dire che è sempre stata una zona più o meno vicina all’Afghanistan, anche culturalmente, tanto che negli anni Settanta si vedevano nelle città del Kashimir molte donne con il tipico burka afghano. La questione del Kashimir è comunque una questione spinosa e mai risolta anche se nella realtà storica il Pakistan ha tutte le ragioni di rivendicarlo. Qui non si tratta di essere filopakistani o altro: storicamente il Kashimir è stato assegnato all’India solo perché il maraja del Kashimir scelse allora l’India come amministrazione, ma la maggior parte della popolazione è musulmana e l’Onu, già nel 1947, impose un referendum popolare che l’India ha sempre evitato. Dunque, l’ingiustizia storica è palese».Perché questa difesa ad oltranza, quali sono i motivi per cui l’India non vuole rinunciare al Kashimir?«Il Kashimir è un territorio eminentemente strategico. Andando ad esempio verso il campo base del K2 fino a circa 5 mila metri si incontrano gli avamposti pakistani. La contesa di questo territorio si trascina da decenni. È una zona dove i due eserciti si fronteggiano da sempre».Ma questa volta siamo di fronte ai soliti scontri di frontiera o alla guerra vera e propria?«Dire che siamo sull’orlo della guerra forse è eccessivo, anche perché una guerra fra India e Pakistan sarebbe un fatto sconvolgente, sarebbe la terza guerra mondiale. Non dimentichiamo che siamo di fronte a due potenze nucleari. Oggi semmai la situazione è molto complicata proprio dalla possibile presenza di Bin Laden in Pakistan, o comunque dalla presenza di sue cellule. Il tentativo di Bin Laden è quello di riassumere in sé i due aspetti dell’Islam: quello religioso e quello battagliero. Lui si è proposto come nuovo califfo. La cosa, per fortuna, gli è andata male in Afghanistan, ma non è che gli sia mancato il tempo di preparare le future mosse, anche se pensava ad una sollevazione del mondo islamico che non c’è stata. Il rischio però è reale e non va assolutamente minimizzato. E il Pakistan è da questo punto di vista l’anello debole della catena perché retto da un governo militare, che succede ad altri governi militari. Il Pakistan negli ultimi anni ha vissuto una storia travagliatissima e il risultato è stato l’irrigidirsi nel fondamentalismo islamico».