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Suicidio assistito: Corte Strasburgo, Svizzera chiarisca limiti legge

La legislazione svizzera non indica con chiarezza i casi in cui il suicidio assistito può essere autorizzato; per questo nell'affaire Gross versus Suisse, è riscontrabile la violazione dell'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo sul diritto al rispetto della vita privata e familiare. Lo afferma oggi la Corte europea dei diritti dell'uomo, chiedendo alla Confederazione elvetica regole chiare.

«Pur offrendo la possibilità di ottenere una dose letale di farmaci su prescrizione medica», la legislazione svizzera «non fornisce direttive sufficienti a definire l’ampiezza di questo diritto», si legge in una sentenza – controversa e che certo farà discutere – di Chambre (pertanto non definitiva) emessa oggi in merito al ricorso dell’ottantaduenne Alda Gross che da anni, pur non soffrendo di particolari patologie, desidera porre fine alla propria vita per «non continuare a subire il declino delle sue facoltà fisiche e mentali». Non avendo ottenuto dalle autorità svizzere (Direzione sanitaria del Cantone di Zurigo, giustizia cantonale e Tribunale federale) l’autorizzazione necessaria a farsi rilasciare la prescrizione medica per la dose letale di barbiturico, la donna ha presentato ricorso alla Corte di Strasburgo invocando la violazione del suddetto art. 8 della Cedu; violazione riconosciuta dai giudici.

Pur non pronunciandosi sull’eventuale diritto della ricorrente di ricevere il barbiturico, ossia l’aiuto al suicidio, la Corte osserva che il desiderio della donna «di mettere fine ai propri giorni» deriva dal «diritto al rispetto per la vita privata garantito dall’art. 8» della suddetta Convenzione, e precisa che il Codice penale svizzero non persegue l’istigazione e l’assistenza al suicidio se non nel caso in cui l’autore di tali atti sia spinto a commetterli da «motivi egoistici».

In conformità con la giurisprudenza della Corte suprema federale elvetica, osservano ancora i giudici di Strasburgo, un medico può prescrive un «farmaco letale» per aiutare un paziente a suicidarsi, a condizione vi siano le direttive etiche adottate dall’Accademia svizzera di medicina e il paziente sia pienamente consapevole della sua richiesta. «Tuttavia – avvertono – queste direttive emesse da un’organizzazione non statale, non hanno qualità di legge». Il governo svizzero non ha infatti «approvato alcun testo» in materia. Una «assenza di direttive chiare» che può avere «un effetto dissuasivo sui medici». La sentenza odierna non è definitiva: entro tre mesi da oggi ognuna delle due parti può chiedere il rinvio dell’affaire alla Grande Chambre.