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Svizzera: suicidio degli anziani, documento di Justitia et Pax. «Un grave problema sociale»

«Il suicidio degli anziani: una sfida»: è il titolo di uno studio appena preparato dalla commissione Justitia et Pax elvetica e pubblicato sul sito dei vescovi della Svizzera per contribuire al dibattito nell’opinione pubblica sull’autonomia, la fragilità, la morte, l’aiuto al suicidio.

Il dato di partenza è che oltre 100mila persone sono oggi iscritte a un’organizzazione per il suicidio assistito e che dallo scorso anno in Svizzera «si discute della possibilità per le persone (molto) anziane di decidere liberamente se vogliono mettere fine alla propria vita» con la cosiddetta «morte volontaria nella vecchiaia». Non è più una situazione di «sofferenza insopportabile» a giustificare la morte, ma «semplicemente l’anzianità e la prospettiva di una vita difficile», evidenza lo studio che indaga il perché questa idea «abbia così tanto successo» nella popolazione elvetica e non solo. Il suicidio si è «affrancato dalla condizione di tabù», e se il suicidio degli anziani è «un grave problema sociale», da alcuni è considerato una «soluzione individuale». Ribadendo l’opposizione della Chiesa alla «morte pianificata», mons. Felix Gmür, vescovo di Basilea, ha sottolineato nella conferenza stampa di presentazione dello studio a Berna ieri: «Oggi chi è dipendente da qualcun altro, è malvisto e considerato non normale». L

o studio di Justitia et Pax, oltre a indagare il tema sul piano etico e sociale, offre alcune «raccomandazioni» per la società, le Chiese e le istituzioni sanitarie.

«Come cristiani respingiamo fermamente la tendenza alla normalizzazione e, di conseguenza, alla banalizzazione della morte provocata dall’essere umano», si legge nel documento di Justitia et Pax Svizzera, presentato a Berna. «La morte diventa sempre più un progetto» e «non si affida più al destino né come né quando» morire: di fatto c’è l’idea di «una vita condotta razionalmente fino alla morte, che non lascia più spazio all’inatteso».

Per i cristiani invece «la dipendenza dagli altri non è una tara, ma un aspetto fondamentale della condizione umana, così come la frammentarietà e l’imperfezione» della vita. È per questo che il documento, nell’elenco di «Raccomandazioni rivolte alla società», evidenzia che la «morte deve di nuovo essere compresa come parte della vita» e come «evento sociale». La società «non ha il diritto di escludere gli anziani», ma deve dare un «migliore riconoscimento alla cura» che i parenti prestano agli anziani e morenti. Alla Chiesa si raccomanda di trovare «risposte nuove e credibili alla ricerca di una buona morte»; di farsi «avvocato degli anziani e dei deboli»; anche lei deve «impegnarsi maggiormente nell’ambito delle cure palliative» e parlare più spesso di vita e di morte, pensando «nuove forme di offerta pastorale» per accompagnare gli anziani. Quanto al sistema sanitario si chiede di «estendere l’offerta delle cure palliative», continuando «a esplorarne le possibilità e i limiti».