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Terremoto in Turchia. Mons. Bizzeti: “Non dimenticateci”

“L’appello è a non dimenticarci, a programmare gli aiuti in modo intelligente e in base a dei progetti, attraverso i vari canali, in modo che unendo tutte le forze, governative e private, nazionali e internazionali, si possa sperare in una ricostruzione che non sia fare di nuovo una marea di grattacieli senza criterio”. Raggiunto telefonicamente dal Sir, mons. Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia e presidente Caritas Turchia, lancia un appello e fa il “punto” della situazione da Iskenderun (Turchia), ad un mese dalla prima travolgente scossa che ha colpito tutta l’area. Secondo le stime effettuate dai due Paesi principalmente coinvolti, il terremoto ha provocato in totale oltre 51.000 vittime accertate (di cui 44.374 in Turchia e 6.700 in Siria) e un elevato numero di dispersi che porteranno tale bilancio ad aumentare ulteriormente, mentre sono stati registrati più di 120.000 feriti. “Anche se ormai se ne parla poco, il terremoto e la devastazione che ha provocato, non sono alle spalle. Gli edifici sono ancora per terra, vengono ancora recuperati dei “corpi” dalle macerie, le strade sono tuttora spaccate, l’acqua che ha iniziato a scorrere nei tubi non è potabile ed è molto debole”, raccontano i padri gesuiti da Iskenderun.

Mons. Bizzeti, ci racconti qual è la situazione?È ancora drammatica. Adesso pian piano si spera di rientrare nella normalità, quanto meno di uscire dalla paura del terremoto perché le scosse di 9 giorni fa avevano di nuovo innalzato il livello della paura abbondantemente. Adesso è un po’ di giorni che non succede niente e speriamo di esserne fuori. Per un mese siamo stati dentro il terremoto. È chiaro che adesso emergono i problemi di fondo, cioè la mancanza di alloggi, la mancanza di lavoro, la difficoltà per i ragazzi di avere la scuola. La precarietà quindi è a tutti livelli. Gli interventi adesso devono diventare più di fondo, per poter mantenere almeno un po’ le persone in questi luoghi.

C’è stata una grande fuga.

Il grosso pericolo è che gli sfollati che sono partiti, non facciano più ritorno, il che significherebbe sicuramente un impoverimento.Anche per la comunità cristiana, il problema è grosso. Quindi è una situazione molto difficile. Grazie a Dio continua l’impegno di varie persone. Come Caritas Turchia e Caritas Anatolia abbiamo dei centri dove possiamo distribuire beni di prima necessità. Stiamo distribuendo tende e stiamo cercando di organizzare anche dei piccoli corsi su qualche materia in modo che i ragazzi abbiano la possibilità di essere impegnati. Questi sono i nostri interventi”.

In quanti sono rimasti a Iskenderun?La popolazione in città contava più meno 220mila persone, compresi i rifugiati siriani. Quanti siano rimasti, è difficile calcolarlo anche perché molti sono provvisoriamente andati da parenti o amici, molti si sono accampati nelle tende in campagna. È difficile fare una stima precisa. La situazione ad Antiochia è sicuramente peggiore rispetto a Iskenderun. Antiochia è la culla del cristianesimo e siamo particolarmente affezionati a quella città.

Cosa vede oggi attorno a lei? Come è la situazione dei crolli in città?Le chiese principali sono crollate. Gli ospedali sono crollati e non meno di 250/300 edifici sono completamente distrutti. È una città che piano piano sta riprendendo un po’ di vita. Comincia a riaprire qualche negozio ma sono ancora chiusi tutti i servizi pubblici. È quindi una città ancora in grandissime difficoltà.

Gli aiuti arrivano?Grazie a Dio stanno arrivando, sia da parte della Chiesa sia da parte di enti pubblici e privati, nazionali e internazionali. Quindi non abbiamo in questo momento problemi a ricevere beni di prima necessità. Inoltre, cominciamo a preferire comprare in loco, in qualche supermercato o magazzino, in modo da incrementare l’economia locale. Rimane il fatto che abbiamo bisogno di aiuti: ci vorranno mesi, anni, per tornare ad un minimo di normalità per cui noi continuiamo a dare i riferimenti delle associazioni che lavorano con noi come il progetto Agata SmeraldaAmici del Medio Oriente e naturalmente la Caritas.

Prima del terremoto, eravate impegnati in prima linea negli aiuti ai rifugiati. Come è la loro situazione ora?Ad Antiochia c’erano 150mila rifugiati siriani. In questo momento è difficile anche sapere quanti siano ancora in vita e fare stime. Certamente, piove sul bagnato. Loro sono quelli ad essere ulteriormente colpiti da questa tragedia. Penso alle donne, ai bambini, agli anziani. Anche in Siria la situazione del terremoto è difficilissima. Si cominciava a prospettare un ritorno in Siria, per alcuni almeno, e invece i tempi con il terremoto, si allungano e si allontanano.