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Ue: Corte di giustizia boccia la riforma polacca della magistratura. «Contraria al diritto comunitario»

La  Corte di giustizia europea, chiamata in causa dalla Commissione Ue, boccia la riforma polacca della magistratura entrata in vigore nell'aprile 2018. Amnesty, governo ha agito contro i Trattati.

(Bruxelles) La Corte di giustizia europea boccia le disposizioni della normativa polacca sull’abbassamento dell’età per il pensionamento dei giudici della Corte suprema come «contrarie al diritto dell’Unione». Tali «misure controverse violano i principi dell’inamovibilità dei giudici e dell’indipendenza giudiziaria». La Corte, chiamata in causa dalla Commissione Ue, si riferisce al fatto che il 3 aprile 2018 è entrata in vigore la nuova legge polacca sulla Corte suprema secondo cui l’età per il pensionamento dei giudici della Corte suprema è stata abbassata a 65 anni. «Il nuovo limite di età si applicava alla data di entrata in vigore della legge e si riferiva anche ai giudici di detto organo giurisdizionale nominati prima di tale data. La proroga della funzione giudiziaria attiva dei giudici della Corte suprema oltre l’età di 65 anni era possibile, ma era subordinata alla presentazione di una dichiarazione indicante la volontà del giudice interessato di continuare ad esercitare le proprie funzioni e di un certificato attestante che il suo stato di salute gli consentiva di far parte di un organo giudicante, nonché all’autorizzazione del presidente della Repubblica di Polonia. Per concedere tale autorizzazione, il presidente della Repubblica di Polonia non sarebbe stato vincolato ad alcun criterio, e la sua decisione non sarebbe stata oggetto di alcun controllo giurisdizionale».

Il 2 ottobre 2018 la Commissione ha presentato un ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia. In una lunga e articolata sentenza la Corte di Lussemburgo rileva, fra l’altro, che «l’indispensabile libertà dei giudici rispetto a qualsivoglia intervento o pressione esterni richiede talune garanzie, come l’inamovibilità, idonee a tutelare le persone che svolgono la funzione giurisdizionale». La Corte «respinge l’argomento della Polonia secondo cui l’abbassamento dell’età per il pensionamento dei giudici della Corte suprema a 65 anni derivava da una volontà di armonizzare tale età con l’età generale per il pensionamento applicabile a tutti i lavoratori in Polonia e di ottimizzare, in tal modo, la ripartizione delle fasce di età del personale di tale organo giurisdizionale». La Corte sottolinea, peraltro, che «le garanzie di indipendenza e di imparzialità degli organi giurisdizionali richiedono che l’organo interessato eserciti le sue funzioni in piena autonomia, essendo tutelato contro interventi o pressioni esterni, idonei a compromettere l’indipendenza di giudizio dei suoi membri e a influenzare le loro decisioni, nel rispetto dell’obiettività e nell’assenza di qualsiasi interesse nella soluzione della controversia».

«A seguito di una decisione provvisoria della Corte di giustizia del novembre 2018, le autorità polacche avevano già ricevuto l’ordine di ripristinare la composizione della Corte suprema prima dell’aprile 2018, data di entrata in vigore della legge». Lo sottolinea Amnesty International a commento della sentenza odierna della Corte di giustizia Ue. Eve Geddie, direttrice dell’ufficio europeo di Amnesty International, afferma: «Oggi la Corte suprema dell’Unione europea ha confermato quello che dicevamo da tempo, che il governo polacco ha agito contro il diritto dell’Ue quando ha tentato di costringere quasi un terzo dei giudici della Corte suprema» polacca «a ritirarsi e ha tentato di esercitare il controllo sul potere giudiziario». La modifica della legge sulla Corte suprema in Polonia «fa parte di una più ampia ‘riforma’ della magistratura. Amnesty International ritiene che questi cambiamenti politicizzino la magistratura», «minando la sua indipendenza». «Nonostante numerose procedure in corso per contestare questa riforma, le autorità polacche hanno continuato a molestare e disciplinare i giudici che presumibilmente consideravano sfavorevoli alla loro causa. È imperativo che si ritorni al rispetto della legislazione comunitaria».

La sentenza odierna «è significativa non solo per la Polonia, ma per altri paesi dell’Unione europea che pensano di poter violare i diritti umani impunemente». «Chiediamo agli Stati membri – afferma Amnesty – di seguire l’esempio e lanciare un chiaro appello alle autorità polacche affinché cambino rotta e ripristinino pienamente l’indipendenza del potere giudiziario».