Le notizie che si sono accumulate nella scorsa settimana sono allarmanti. Sotto certi aspetti ancora più di quelle riguardanti il Covid 19. L'ultimo bilancio demografico dell'Istat, i dati diffusi dalla Commissione europea, il rapporto del Cisf, lo studio di Lancet hanno messo a nudo quello che tutti sappiamo da tanto tempo, ma di cui stentiamo a prendere coscienza: è in atto un crollo della popolazione mondiale, particolarmente in Europa, particolarmente in Italia, particolarmente in Toscana e si va sempre più affermando uno stile di vita "post-familiare".
Hikikomori, nella lingua giapponese, significa «stare in isolamento». Il termine indica le persone, per lo più giovani, che si chiudono in casa, che mantengono qualche relazione con gli altri solo grazie alle tecnologie, e così finiscono per non avere contatti reali con nessuno. In Giappone si tratta di una condizione diffusa: si parla di 1 milione di casi. In Italia c’è un’associazione che se ne occupa e che stima siano 100mila le persone che si comportano in questo modo.
La proposta di risoluzione, in questi giorni all’attenzione della Giunta regionale della Toscana, che promuove il ricorso all’aborto farmacologico mediate la RU486 nei consultori e negli ambulatori, impone alcune considerazioni.
Il nostro è davvero un Paese strano ma soprattutto è un Paese che non pensa al futuro di chi lo dovrà abitare, vivere e magari anche governare tra qualche anno. Tutto doveva cambiare dopo l’emergenza Covid. Tutto non solo è rimasto uguale ma forse peggiorato.
Dopo i sacrifici della ‘fase 1’ e l’assenza della famiglia ai tavoli che contano della ‘fase 2’, la ‘fase 3’ dell’emergenza Covid-19 si è aperta con l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del cosiddetto Family Act. Non solo: si è avviata in parlamento anche la discussione sull’assegno universale per figlio, misura lanciata in Italia due anni fa dal Forum delle associazioni familiari e portata avanti in questi anni nonostante diffidenze, illusioni e promesse mancate.
È nella natura umana: ci adattiamo. L’adattamento per l’umanità è stato, nel corso dell’evoluzione, sinonimo di sopravvivenza di fronte alle difficoltà. Ma accanto ad adattamento sta la parola assuefazione e questa, spostando l’ambito dal biologico all’etico, si gemella con un altro termine: assuefazione. Il confine tra questi termini non è chiaro. L’area di contiguità è sfumata: si inizia credendo di avere conquistato un traguardo in una situazione ostile e ci si ritrova regrediti a livelli a cui non avremmo mai pensato. Sì, perché accanto a assuefazione c’è un’altra parola, terribile: cinismo.
L'emergenza ci ha insegnato che si può vivere senza dover parlare ogni giorno, al bar con gli amici o sui social, di calcio. Eppure ci hanno provato in tutti i modi a non farci dimenticare che dietro a questo mondo girano milioni di euro, interessi che superano ogni confine imposto dalla pandemia.
Il 2 giugno 1946, esattamente 74 anni fa, il popolo italiano accorreva alle urne: quasi 25 milioni di italiani e di italiane (queste ammesse per la prima volta al voto) si espressero per la monarchia o la repubblica, e contemporaneamente elessero 556 componenti dell’Assemblea costituente. Fu un momento di “ripartenza” della storia italiana, reso possibile da tre sentimenti che animavano la coscienza sociale: speranza, fiducia, consapevolezza.
Hai voglia a dire che la fase due non è un «liberi tutti» di spensierata e vagabonda anarchia. Ripetilo pure, sbandierando i bollettini che raccontano di numeri calanti, ma di ammalati che ancora muoiono. Assembriamoci!
Diteci che nessuno ha scherzato, che ripartiamo perché davvero i dati ce lo consentono e le misure di sicurezza pure. Diteci che non cediamo solo alle pressioni di chi vuole aperture generalizzate, senza più quei controlli che hanno permesso di superare la fase critica del Covid-19.