L'emergenza ci ha insegnato che si può vivere senza dover parlare ogni giorno, al bar con gli amici o sui social, di calcio. Eppure ci hanno provato in tutti i modi a non farci dimenticare che dietro a questo mondo girano milioni di euro, interessi che superano ogni confine imposto dalla pandemia.
Il 2 giugno 1946, esattamente 74 anni fa, il popolo italiano accorreva alle urne: quasi 25 milioni di italiani e di italiane (queste ammesse per la prima volta al voto) si espressero per la monarchia o la repubblica, e contemporaneamente elessero 556 componenti dell’Assemblea costituente. Fu un momento di “ripartenza” della storia italiana, reso possibile da tre sentimenti che animavano la coscienza sociale: speranza, fiducia, consapevolezza.
Hai voglia a dire che la fase due non è un «liberi tutti» di spensierata e vagabonda anarchia. Ripetilo pure, sbandierando i bollettini che raccontano di numeri calanti, ma di ammalati che ancora muoiono. Assembriamoci!
Diteci che nessuno ha scherzato, che ripartiamo perché davvero i dati ce lo consentono e le misure di sicurezza pure. Diteci che non cediamo solo alle pressioni di chi vuole aperture generalizzate, senza più quei controlli che hanno permesso di superare la fase critica del Covid-19.
La situazione delle scuole paritarie, già molto complicata in questi anni, anche proprio per una non completa attuazione del principio della parità, rischia di peggiorare in modo significativo dopo l’emergenza sanitaria
In questi giorni in cui si parla tanto delle ricette per la ripartenza economica ricordiamo anche il quinto anniversario della pubblicazione della Laudato Si’. I due temi portano in evidenza un virus troppo a lungo trascurato, quello della disuguaglianza.
Per la prima volta dal dopoguerra non ci saranno celebrazioni di piazza in questo 1° Maggio; milioni di lavoratori sono in cassa integrazione; tante aziende e attività sono chiuse. Difficile festeggiare.
Stiamo passando l’ennesima domenica senza celebrazione eucaristica. Meno male che le messe in video ci sono. Ma non si può fare confusione tra un evento a cui si partecipa e un evento a cui semplicemente si assiste.
La premessa è d’obbligo: nessuno vorrebbe essere in questo momento al posto di Giuseppe Conte, neppure i leader dell’opposizione che pure tanto si affannano ad avanzare critiche al governo, cercando di sfruttare ogni occasione e tutte le divisioni che si affacciano tra le diverse realtà, cattolici compresi.
Già, il 25 aprile. Festa della Liberazione, arrivata a una tappa «tonda» proprio quando stiamo precipitando in un dramma, tanto economico quanto sociale, che si innesta su un dramma sanitario colpevole di aver deposto in migliaia di bare molti fra i testimoni ancora in grado di ricordare quel 25 aprile di 75 anni fa.