Opinioni & Commenti

A Cesare quel che è di Cesare, ma lo Stato non sia più tiranno degli altri debitori

di Romanello Cantini

In America durante la grande crisi del 1929 si impedì l’accesso ai tetti delle case e si bloccarono le finestre dei grattacieli per ridurre il numero dei disperati che si buttavano di sotto. Oggi ancora non siamo alla gravità della crisi di allora né al numero di suicidi di quel periodo. Eppure anche in Italia sono già decine coloro che si sono tolti la vita per mancanza di coraggio di vivere prima ancora che per mancanza di mezzi per vivere, incentivati magari dall’eco che i mezzi di comunicazione di massa danno al fenomeno e che può indurre i più deboli alla imitazione, secondo quella che gli psicologi chiamano la sindrome di Don Chisciotte.

E questa violenza contro se stessi rischia a sua volta di essere pretesto di violenza contro lo stato in genere e in particolare contro i malcapitati impiegati di Equitalia che sono i più esposti nel chiedere soldi quando ce ne sono meno e sembrano a torto i primi responsabili. È una china pericolosa. Da sempre i sovversivi hanno cercato di accaparrarsi la rappresentanza delle vittime prima di presumere di vendicarle facendo a loro volta delle vittime. E fin dal tempo della tassa del macinato, quando i contadini assalivano i poveri mugnai, che quanto a responsabilità non c’entravano nulla, nei momenti di esasperazione è sempre chi riscuote le tasse che ne busca rispetto a chi le mette.

E tuttavia, proprio perché si sta non di rado maneggiando chi è in preda alla disperazione, anche nel riscuotere le tasse bisogna stare attenti a non spargere sale dove ci sono già ferite e ad attribuire allo stato qualsiasi licenza nei confronti del cittadino magari con la brutalità giustificata dalla emergenza. Sembra, ad esempio, che solo ora il governo si stia impegnando a saldare i propri debiti verso le imprese cercando di superare un sistema scandaloso per cui lo stato riscuote subito e paga chissà quando, magari nei confronti dello stesso soggetto. Così pare che da qui in avanti si cercherà di non mettere ipoteche sulle abitazioni almeno per debiti inferiori a ventimila euro. Una ipoteca comporta infatti non solo un grosso costo per toglierla ma spesso  impedisce a chi ne ha bisogno di avere per mancanza di fiducia crediti anche di poche migliaia di euro. Solo recentemente per debiti di decine di migliaia di euro si è giunti inoltre a concedere rateizzazioni fino a sei anni.

Chi riceve una cartella di Equitalia non è solo un nome e un cognome, ma una persona con una sua situazione e una sua storia quasi sempre e soltanto sua. C’è il disoccupato che non ha pagato al comune la multa e la mensa per il figlio. C’è l’imprenditore in difficoltà che, come fa sempre in questi casi, ha smesso di pagare l’Iva prima di smettere di pagare lo stipendio ai suoi operai. C’è il proprietario di partita Iva che ha smesso di pagare le tasse perché stava fallendo e gli arriva la cartella di Equitalia ora che è fallito. In questi casi conta il dialogo più del decreto e il rispetto dell’uomo deve avere la precedenza anche di fronte alle più dure necessità dell’economia e anche quando l’individuo appare piccolo e solo di fronte  allo stato a cui deve qualcosa. Una volta che si diventava schiavi per debiti, poi si andava in carcere, poi si pagava con quello che si aveva. Infine si sono trovati i modi per lasciare almeno una casa, un  letto, una tavola e uno stipendio anche ha chi non ha pagato i suoi debiti.

Lo stato non può essere più tiranno di un altro debitore anche se cerca di agguerrire la sua forza istituzionale con slogan più o meno ideologici. Lo slogan di pagare tutti per pagare meno convince poco, dopo che è stato ripetuto per trent’anni, mentre le tasse si sono moltiplicate  per cinque senza diminuire mai. Al contrario da un’altra parte il Fondo Monetario ci racconta che sono le aliquote alte che aumentano l’evasione. Infine c’è perfino chi in America secondo la famosa formula starving the best cioè «affamare la bestia», sostiene che diminuire le tasse è l’unico modo per diminuire le spese di uno stato che da solo non lo farà mai.

Al di là delle teorie, di cui è pericoloso o inutile che lo stato si vesta, rimane per tutti comunque il dovere di dare a Cesare quel che è di Cesare. Con la postilla però di spendere il giusto e di spendere bene.