Opinioni & Commenti

Al «don superman» preferisco il «rallysta» meglio ancora se silenzioso e solido

di Umberto Folena

Guardatevi dall’x-priest, il prete superman in calzamaglia nera che prende terribilmente sul serio il monito dell’Uomo Ragno: grande potere, grande responsabilità; e quella responsabilità, cribbio, non può certo condividerla con nessuno, perché a nessuno può essere fatto un simile dispetto ma soprattutto perché – ammettiamolo – nessuno è all’altezza dell’arduo compito.

Il prete superman zompa di qua e di là da mattina a sera: prega, celebra l’eucaristia, confessa, visita gli ammalati, organizza la catechesi, presiede a tutte le riunioni (dei giovani, degli adulti, delle famiglie…), celebra battesimi matrimoni funerali, coordina la carità, legge il giornale, guarda il tg, scrive il bollettino parrocchiale, segue il sito internet parrocchiale, si fa il caffè e – abbiamo il sospetto – si lava pure i calzini: tutto!

Guardatevi dal superman e dalla sua deriva fatale, il prete individualista, che tale tuttavia non sembrerebbe. Non vediamo come abbraccia, avvolge, avviluppa la sua comunità? «Sua» nel senso non che lui appartiene a lei ma, viceversa, lei appartiene a lui, quasi come proprietà privata. Il prete individualista è lider maximo circondato da fedeli che lo applaudono, cantandone le ineffabili virtù. È seduttore di folle e organizza la liturgia eucaristica attorno alla propria impareggiabile omelia: originale, brillante, acuta, praticamente uno show. Il prete individualista, scriverebbe un antico cronista sportivo, venezianeggia, «fasso tuto mi», e magari gli riesce pure perché non manca né di cultura né di capacità imprenditoriali. Attorno a lui, ahinoi, c’è spazio però soltanto per i gregari che s’inchinino di fronte alla sua indiscussa leadership. Talentuosi, forse; ma gregari. C’è spazio per i complici, non per gli amici. Per i meri esecutori, non per le teste pensanti. Che, vedendo considerati superflui, se non fastidiosi, i propri pensieri, ad un certo punto smettono di pensare. O vanno a pensare, e fare, da qualche altra parte.

Guardatevi dal monoprete, quello che fa coincidere la Chiesa con l’aggregazione laicale nella quale è cresciuto e dove è sbocciata la sua vocazione. Gli è riconoscente, e ci mancherebbe. Ma il monoprete fa di più: decide che quella sua esperienza è non la più valida per lui, ma l’unica valida, e movimentizza l’intera parrocchia. In genere la spacca in due, tre, quattro parti, determinando – del tutto inconsapevolmente – una sorta di esodo: chi non condivide la spiritualità e il metodo educativo del movimento, è pregato di accomodarsi altrove. Anche la Chiesa, intesa come comunità ecclesiale, in questo modo «si accomoda» altrove, però.

Abbiate simpatia, invece, per il prete rallysta, quello che conosce ogni curva dell’Appennino come le proprie tasche, nel territorio delle parrocchie di sua competenza. Piccole, a volte minuscole; ma sono comunità vive che meritano il maggior numero possibile di visite. E allora scala la marcia, terza seconda e ancora terza. Un prete rallysta, sorridendo amaramente, ha detto di se stesso: «Mi sembra di essere un commesso viaggiatore dell’eucaristia». Più che regalargli una nuova 4×4, sarà il caso di proporsi come «agenti mandatari», rappresentanti e collaboratori a sua disposizione.

Abbiate simpatia anche per il prete (che si considera) di serie B, perché cade nella facile tentazione di misurare se stesso sui don M. e don C., i preti-coraggio, i preti di strada, i preti che vanno in tv, i preti opinionisti che finiscono intervistati, ed elogiati, dalla stampa progressista (!). Abbiate simpatia per loro e dissuadeteli dall’imitare chicchessia, perché siamo tutti diversi e tutti unici, e la Chiesa non ha bisogno di preti fotocopia. Aiutateli – se per caso la stanno perdendo o si è scolorita – a rinfrescare la propria autostima.

Abbiate simpatia per l’uomo della presenza, il prete silenzioso, non affetto da protagonismo ma che c’è, ogni volta che la sua gente ha bisogno di lui. Il prete solido che non si sbriciola e nei momenti topici dell’esistenza – nascite, matrimoni, malattia, morte, dolore e gioia – si fa trovare al suo posto, con la parola giusta al momento giusto, mezza di meno forse, mai mezza di più. Presente, misurato, affidabile. Di lui, non di altri, si ricorda chi 30 anni fa aveva 20 anni e, come cantano Conte-Celentano in «Azzurro», chissà perché e chissà per come sentono un inesplicabile bisogno di «un prete per chiacchierar». Forse non per chiacchierare solamente…

Apprezzate e sostenete il prete della comunità, colui che dopo anni e anni di formazione dei laici, con laici straformati, diplomati ed eruditi, decide che si può osare e affidare loro qualche responsabilità. È il prete che non erige palizzate per conservare il gregge, per sparuto che sia ormai, ma le abbatte e allarga il cerchio, aprendo la comunità a chiunque abbia idee, entusiasmo, tempo, carismi, attitudini, abilità.

E infine applaudiamo al prete uomo di Dio, che fa, si agita, organizza, soccorre e aiuta e conforta, fa pure il rallysta se necessario, ma soprattutto – prima, durante e dopo – a chi incontra indica con il dito che Lassù c’è un Padre che ci ama; che c’è un Lassù, e non è vero che tutto si esaurisca Quaggiù. E non solo lo dice ma lo dimostra, pregando e facendo pregare. È il prete che ama se stesso e gli altri, e se a volte è travolto dalla stanchezza ha l’umiltà, e l’intelligenza, di fermarsi, sfilarsi la calzamaglia nera, scoprirsi nudo e debole come un uomo, ma forte come chi è infinitamente amato proprio per la sua umanità, fragile e meravigliosa. E allora riparte.

A quali di questi profili di prete appartenga il Duemila, beh, dovrebbe essere chiaro.