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Barboni uccisi a Prato. Una luce dalla tragedia

DI UMBERTO SANTARELLIQuando s’è visto la televisione o s’è letto sul giornale la notizia di quel che era successo a Prato, tutti ci siamo sentiti rabbrividire: che di notte due poveri disgraziati che dormivano all’addiaccio siano morti massacrati a furia di legnate è una cosa che lascia di sasso. L’hanno detto tutti che non facevano del male a nessuno: s’eran lasciati andare, è vero; campavano alla giornata, racimolando quel che era possibile racimolare, ma lo facevano senza dar noia. Qualcuno, mentre loro dormivano distesi su un prato o rannicchiati su una panchina, li ha ammazzati non si sa perché: forse solamente per divertirsi, o magari per «punirli» di questo loro strano modo di vivere senz’arte né parte, contentandosi, come i cani di cui parla il Vangelo, di quel che cascava dalla tavola di chi aveva avuto più fortuna di loro. Una volta di più la terribile cattiveria di qualcuno ha fatto piovere sul bagnato: succede quasi sempre così.

Da cittadini aspettiamo che chi ne ha il dovere scopra chi ha fatto questo massacro, e che chi è stato paghi per contanti il suo debito.

Ne hanno certamente diritto i parenti dei morti, che avevano già sofferto abbastanza, senza bisogno di questo gratuito epilogo di tragedia. E crediamo di averne diritto tutti; anche perché la nostra convivenza non può esser abbandonata nelle mani di certi pazzi criminali. Perché è disumano che, mentre noi dormiamo in pace perfettamente custoditi in queste nostre città così ricche e «civili», ci sia chi muore nel sonno e chi ammazza forse solamente per il piacere folle di ammazzare chi non si difende.

Per grazia di Dio, come spesso succede in frangenti terribili come questo, la tragedia ci ha fatto scoprire anche certi aspetti nascosti e consolanti di questa società apparentemente così cupa. Marco e Gionata, malgrado le apparenze, non vivevano proprio abbandonati da tutti. C’era chi senza far rumore pensava a loro, e agli altri che per disgrazia o per scelta vivono come loro; e che anche dopo la tragedia ha seguitato la sua silenziosa opera di misericordia radunandosi a pregare insieme agli altri che fanno la medesima vita di Marco e di Gionata. La Chiesa séguita giorno dopo giorno la sua presenza silenziosa, col suo stile antico. Ed è bello che proprio a Prato, dove forse come in nessun altro posto conservano intatto l’antico spirito mercantile, si eserciti ancora la carità nello stesso modo in cui l’esercitavano quando abbellivano queste nostre città costruendo spedali e lazzaretti nei quali investivano splendidamente tanta parte dei fiorini che avevano guadagnato nella mercatura. Che Dio gliene renda merito, ora come tanti secoli fa.

Durante la Messa celebrata in suffragio di questi due morti il vescovo ha trovato accenti d’una verità umana e cristiana assolutamente esemplare; quando ha detto che dopo aver pregato per le vittime bisogna avere anche un pensiero per gli assassini, che pure svegliano in noi anche un comprensibile moto di umanissima ira, ma per i quali da cristiani conviene pregare: perché sentano tutta la loro colpa, e la confessino. Non si poteva dir meglio di così.