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Carnevale, Quaresima e un vecchio quadro di Bruegel

Che tipo di riflessione vorranno? Formulata così, sembra quasi una minaccia, un «Godi pure, tanto poi la paghi». Forse pensano all’evangelico: «Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete?». Non può essere questo; troppo semplice, quasi scontato. Cercare nella mente fa bene. Ed ecco, affiora un ricordo: una nebbiosa mattina di un ottobre di tanti anni fa, a Vienna. In una sala del Kunsthistorisches vedo un quadro di Pieter Bruegel il Vecchio.

È del 1559 ed è bellissimo. Si intitola «La lotta tra il Carnevale e la Quaresima». Siamo sulla piazza di un paese del Nord, brulicante di figure come spesso accade nelle tele dei fiamminghi. La scena è di fatto divisa a metà. A sinistra di chi guarda c’è il Carnevale, un uomo grasso, a cavalcioni di un barile, con in mano uno spiedo coi polli infilzati; dietro di lui si nota una tavola imbandita; a terra sono resti di cibo.

Il grassone (immagine a lato) viene spinto da due personaggi in maschera diritto contro una figura femminile magra, rifinita, che fronteggia lo spiedo del rivale con una pala, tenuta a mo’ di lancia, sulla quale sono due aringhe. È la Quaresima, su un carro trainato da un frate e da una monaca. A sinistra si vede un’osteria, a destra una chiesa. I seguaci del Carnevale mangiano, recitano, suonano; quelli della Quaresima sono tristi, vestiti di scuro, votati al sacrificio, soffrono. Al centro della scena un buffone guida una coppia di spalle: lei porta legata in vita una lanterna spenta. I critici suggeriscono che nella coppia si visualizzi la condizione del credo cristiano, sia cattolico (la Quaresima), sia luterano (il Carnevale), allora avanzanti al buio.

In tutto il quadro sono sparsi poveri mendicanti, nell’indifferenza generale. E sono forse le figure più vere. In basso a destra una madre riceve l’elemosina da un uomo uscito di chiesa: è vestito di rosso e di azzurro. Quell’abito simboleggia il peccato di chi compie ipocritamente un atto di carità, davanti a tutti, per sentirsi a posto.

Quaresima e Carnevale. È un fronteggiarsi simbolico, carico di significati. La prima (quadragesima dies, quarantesimo giorno), è un tempo forte liturgico, di penitenza, di riflessione, lungo quanto il soggiorno di Gesù nel deserto o di Mosè sul Sinai. Era scandito da preghiere intense, digiuni, abbandono del lusso per una vita più essenziale, col suo momento culminante nel Mercoledì delle ceneri. Il penitente vestiva un abito di sacco. A tutto questo si giungeva dal Carnevale (addio alla carne), dagli abiti sfarzosi, dalle maschere che davano identità altre e favolose. Il culmine era il Martedì grasso: gioia sfrenata, il trionfo del piacere, del «non pensare».

Esisteva un re del Carnevale, che spesso finiva per essere simbolicamente ucciso, o il cui carro trionfale si trasformava in quello della morte. Parodia, contestazione dei valori, uso della maschera: tutto veniva reso lecito. Uso ed abuso, come nelle feste antiche, dalle Dionisiache ai Saturnalia. In Cristo però tutto prende un aspetto nuovo e si riaccende la lampada che la donna di Bruegel porta spenta. Quella donna siamo noi, al centro fra il Carnevale del saeculum e l’occasione mancata di una Quaresima eccessiva, o forse non vissuta col cuore, o solo di facciata. Carnevale consapevole, Quaresima consapevole: nella nostra vita c’è spazio per la gioia e per il riconoscimento dei peccati, per il riso e per il pianto. Sempre con misura, sincerità ed intelligenza, riconoscenti per l’avventura del vivere.

Grazie al vecchio Bruegel e all’arte che ci fa crescere.