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Cattolici e bipolarismo: non compromissioni ma capacità di mediazione

di Giorgio CampaniniSi è soliti affermare che, con la crisi della Dc, si è affermato in Italia il «bipolarismo». In realtà – se si considerano le cose nella sostanza e non nella forma – è proprio con il venir meno del punto di riferimento rappresentato in Italia, dal 1946 al 1990, del partito di ispirazione cristiana, che è entrato in crisi il bipolarismo che sino ad allora, per quasi un cinquantennio, si era realizzato, e che vedeva di qui un blocco di centro egemonizzato della Dc e di lì un blocco di sinistra egemonizzato dal Pci. Il frantumarsi dei due blocchi ha prodotto l’anomalo e spesso pasticciato «bipolarismo all’italiana», che è quello che ha caratterizzato gli scenari della politica nell’ultimo quindicennio.

È vano pensare che si possa ritornare, auspice una riforma elettorale in forma accentuatamente proporzionale, al passato, perché ne sono venute meno le condizioni, prima fra tutte quella della presenza di due grandi partiti (quali furono, appunto, un tempo, Dc e Pci) in grado di guidare un blocco di centro, o di sinistra, con autorevolezza e senza indulgere a compromessi (o addirittura cedere a ricatti).

Ciò che si sta muovendo nell’attuale scenario della politica è tuttavia la tendenza a costituire due veri e propri nuovi «blocchi»: al centro-sinistra con la costituzione del Partito democratico; al centro-destra con l’impresa, ancor più difficile, di ricondurre ad unità le tante e variegate «anime» di quella eterogenea coalizione. Il futuro dirà se il tentativo di costruire due forti soggetti politici ragionevolmente unitari avrà successo o se l’apparentemente irresistibile attrazione, prettamente italiana, alla frammentazione, ancora una volta, prevarrà.Come tutto il sistema politico, così anche i cattolici politicamente impegnati si trovano, a loro volta, in mezzo al guado. È evidente il disagio di quanti, da cristiani, si collocano ora dall’una ora dall’altra parte della barricata. Entrambi gli schieramenti, entrambe le classi dirigenti, entrambi i programmi appaiono per molti aspetti insoddisfacenti. A ben guardare, tuttavia, non era così anche ai tempi della «egemonia» della Dc quando quel partito doveva fare i conti e scendere talora a compromessi con scomodi alleati? Nessuno ricorda che la Dc, alla guida del Governo e con incarichi-chiave nei vari dicasteri, dovette subire le umiliazioni prima del divorzio e poi dell’aborto? Per i cattolici, i «rospi» in politica non sono una novità.Occorre, dunque, realisticamente, prendere atto che se si attende che un grande partito rispecchi per intero i valori cattolici ed i principii della Dottrina sociale cristiana non resta ai credenti che l’astensione della politica propriamente detta per rifugiarsi nell’impegno amministrativo locale e nel volontariato, oppure costituire un piccolo gruppo di testimonianza ideale, che sappia essere coscienza critica di chi, di volta in volta, sarà al potere: ma con il rischio, nell’uno e nell’altro caso, dell’insignificanza.

Sembra dunque più agevolmente percorribile la via di un sano «relativismo», non sul piano dell’etica (perché qui occorrerà saper rendere una coraggiosa testimonianza) ma sul piano delle soluzioni concrete che potranno essere date alle questioni che di volta in volta verranno poste sul tappeto. Non compromissioni ma capacità di mediazione, coniugata con un vigile senso critico, è ciò che si richiede oggi, ed ancor più si domanderà domani, ai cattolici politicamente impegnati.

La politica è in larga misura lo specchio di una società che ormai solo in parte si riconosce nei valori del Vangelo: prenderne atto non dovrebbe portare al disimpegno ma ad una più lucida e responsabile presenza.

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