Opinioni & Commenti

Cittadini o sudditi? Educare nel mondo postmoderno

«Cittadini o sudditi? Educare ai valori attraverso i media» è il titolo del convegno promosso dalla Commissione episcopale toscana per la cultura e le comunicazioni sociali in programma a Firenze questo sabato, 27 giugno, al Convitto della Calza, dalle 10 alle 17, con la partecipazione di Ugo De Siervo, Claudio Cappon, Marco Tarquinio, Mariano Bianca, Sergio Valzania, Paolo Ruffini, Pier Domenico Garrone, Carlo Sorrentino, don Antonio Sciortino, Lucio Brunelli e Chiara Giaccardi, che in questo intervento ci spiega il tema di fondo dell’incontro.

Tutto nel mondo è intimamente connesso. Lo ha scritto Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ al n. 16 ribadendolo per tutto il testo (LS42, 117, 138…). Recuperare questa consapevolezza, che abbiamo perso, è fondamentale per educare in generale. E per educare alla cittadinanza, oggi, nello specifico. Intanto perché l’abbiamo persa? La frammentazione, la scomposizione dei processi per poterli meglio controllare è tipica della modernità e del suo atteggiamento distaccato e analitico: analisi (da anà, intensivo e lyo, scompongo, sciolgo) è però anche perdita dell’insieme, del senso. Oltre che dissoluzione dei legami.

L’unità della famiglia umana si è frantumata in una miriade di individui, che pensano alle relazioni come a un loro «prodotto» e a una loro «scelta» (sempre reversibile), dimenticando che siamo relazione e che la relazione ci precede e fonda il nostro essere unici e irripetibili. Oltre al fatto che, come sanno bene gli psicanalisti, le relazioni che più ci costituiscono sono quelle, irrevocabili, che non abbiamo scelto (essere «figli di»). La postmodernità, con la sua retorica sulla «fine delle grandi narrazioni» (a sua volta, evidentemente, una grande narrazione) ha poi legittimato la rinuncia al senso e la chiusura in una individualità autoreferenziale e ludica.

Le separazioni individuo/societa, pubblico/privato, mezzi/fini sono diventate contrapposizioni e (false) alternative, che hanno indebolito la solidarietà e prodotto uno sviluppo «drogato» e iniquo. Inoltre, hanno anche influenzato il piano educativo: la separazione teoria/pratica, la netta distinzione dei ruoli tra chi insegna e chi impara, una traduzione del sapere in chiave sempre più tecnico-specialistica da un lato e performativa-competitiva dall’altro devono farci riflettere. È il momento della sintesi. Lo aveva già compreso Benedetto XVI nella Caritas in Veritate: «Gli aspetti della crisi e delle sue soluzioni, nonché di un futuro nuovo possibile sviluppo, sono sempre più interconnessi, si implicano a vicenda, richiedono nuovi sforzi di comprensione unitaria e una nuova sintesi umanistica» (CV 21).

Per questa sintesi i media possono essere un aiuto? I media tradizionali hanno in gran parte sostenuto, piuttosto che contrastato, i processi di frammentazione. Pensiamo solo al rapporto, già lamentato da Walter Benjamin a inizio secolo, tra proliferare dell’informazione e perdita della capacità di fare e raccontare esperienze; e pensiamo alla logica della contrapposizione, dello schieramento, della strumentalizzazione che troppo pesantemente i media hanno incorporato e alimentato, a scapito di una capacità di comprensione più integrale e integrante. Non che i media digitali siano di per sé la soluzione al problema. Papa Francesco, come già Benedetto XVI, è immune e giustamente critico rispetto alle sirene del «soluzionismo tecnologico».

Sarebbe deterministico e deresponsabilizzante pensare che la tecnica risolva i problemi, che la connessione grazie ai dispositivi diventi automaticamente relazione, che l’interattività promuova di per sé partecipazione: rispetto alle «dinamiche dei media e del mondo digitale» non esita piuttosto a dire che, «quando diventano onnipresenti, non favoriscono lo sviluppo di una capacità di vivere con sapienza, di pensare in profondità, di amare con generosità. I grandi sapienti del passato, in questo contesto, correrebbero il rischio di vedere soffocata la loro sapienza in mezzo al rumore dispersivo dell’informazione» (LS 47). Tuttavia, se ci poniamo in una prospettiva antropologica e non tecnologica, il presente non è solo denso di insidie, ma pure gravido di opportunità, anche educative. La cooperazione, la condivisione, il coinvolgimento in prima persona che la logica del web incoraggia, oltre alla consapevolezza del l’interconnessione globale, possono essere terreno fertile per coltivare e far crescere nuove alleanze educative, all’insegna di una più feconda reciprocità tra educatori ed educandi: educare e co-educarsi, per una educazione al progetto comune cui l’interconnessione ci chiama, per «creare una “cittadinanza ecologica”» (LS 211).

Siamo figli e perciò fratelli, e nonostante le nostre ribellioni, a volte un po’ adolescenziali, ci sta diventando chiaro che occorre il coraggio di cambiare via: «L’autentica umanità, che invita a una nuova sintesi, sembra abitare in mezzo alla civiltà tecnologica, quasi impercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto una porta chiusa. Sarà una promessa permanente, nonostante tutto, che sboccia come un’ostinata resistenza di ciò che è autentico?» (LS 112).