Opinioni & Commenti

Così la mafia sbarca e fa affari nelle città della nostra regione

di Giovanni Pallanti

Secondo la Fondazione Caponnetto il business delle mafie in Toscana si aggira dai 12 ai 14 miliardi di euro. Secondo il presidente della Fondazione, Salvatore Calleri, questa realtà «inquieta molto in quanto certifica una presenza mafiosa imponente in un territorio non mafioso».

Io non sono sorpreso per niente da questi dati. Nel periodo in cui sono stato vice sindaco di Firenze (1992-95) fui interrogato, assieme al sindaco Giorgio Morales, dalla Commissione parlamentare antimafia nella sede della Prefettura di Firenze. In quella occasione dissi che l’immigrazione cinese, proveniente da un paese a regime totalitario e comunista, o era organizzata dal governo o dalla mafia cinese: la famosa Triade. Poi indicai in alcuni negozi di lusso del centro storico di Firenze, quasi sempre vuoti, un possibile punto di riciclaggio del denaro proveniente da attività illecite. Il meccanismo poteva essere questo: far finta di vendere capi di abbigliamento ad alto costo per reinmettere i guadagni, a quel punto leciti, in attività pulite. Su questa mia deposizione scrisse un importante articolo il compianto Ennio Macconi su «La Nazione».

Ora si comincia, a Firenze e a Prato, a comprendere il fenomeno della mafia cinese in tutta la sua ampiezza. Dispiace constatare che, oltre 15 anni fa, quanto da me dichiarato ai parlamentari dell’antimafia, sia stato ampiamente sottovalutato. Nella nostra Regione, sempre la Fondazione Caponnetto, denunzia anche la presenza della mafia siciliana che, con figure riconducibili alla borghesia, ricicla milioni di euro provenienti da attività criminali.

Recentemente in Sicilia è stato arrestato un mafioso che gestiva un consorzio di 23 ditte con sede a Firenze e operante in tutta la nostra regione. Come segretario della Democrazia cristiana fiorentina e come vice-sindaco, ho sempre constatato una diffusa ostilità, nei miei confronti, da parte di molti imprenditori anche con importanti incarichi in Confindustra e nella guida della Camera di Commercio di Firenze. Sarà stata pura combinazione? L’azione politica da me svolta contro il malgoverno e il malaffare non era gradita in certi ambienti economici. Faccio solo un esempio: ogni volta che sono diventato segretario provinciale della Dc (dal 1978 al 1979 e dal 1987 al 1990) l’Associazione industriali fiorentina sospese il contributo economico di 1 milione al mese che volontariamente dava alla Dc. Un puro caso anche questo? Credo proprio di no anche perché tutte e due le volte che sono stato alla guida della Dc sono stato designato quasi all’unanimità.

Quindi non era una questione di linea politica. Anche per questi motivi non sono stato troppo sorpreso dalle ulteriori degenerazioni del crimine a Firenze e in Toscana denunciate dalla Fondazione Caponnetto. I sintomi di questa degenerazione erano ben presenti sin dall’inizio degli anni ’80 del secolo scorso. Molti ambienti economici e molti imprenditori hanno creduto di poter sfruttare, più o meno consapevolmente, la mafia cinese. Alcuni si sono prestati a fare da «teste di turco» per il riciclaggio dei capitali della mafia siciliana. Leonardo Sciascia, in una famosa intervista alla giornalista francese Marcelle Padovani, già molti anni fà preannunciò che anche l’Italia del Centro Nord sarebbe stata conquistata dai capitali delle grandi organizzazioni criminali. Ora ci siamo: Lombardia, Liguria e Toscana sono fortemente condizionate dai capitali mafiosi. I governanti, le categorie economiche e le forze dell’ordine devono coalizzarsi per scoprire gli avamposti di tutte le mafie nella nostra regione e i loro complici.Post scriptum. Nel 1990 la Dc vinse le elezioni amministrative per il Comune di Firenze con il sottoscritto segretario provinciale, Francesco Bosi segretario comunale di Firenze e Gianni Conti capolista per Palazzo Vecchio, nonostante il boicottaggio di alcuni ambienti economici fiorentini.

Non a caso come assessore ai lavori pubblici, prima di diventare vicesindaco, riuscii a impedire una speculazione edilizia sulla collina di San Miniato orchestrata dall’Icla (una grande impresa meridionale coinvolta nelle speculazioni per la ricostruzione post-terremoto in Irpinia) con il beneplacito di alcuni ambienti imprenditoriali fiorentini che sarebbe costata all’incirca 89 miliardi di vecchie lire (quasi 45 milioni di euro): il lavoro necessario per il lieve movimento franoso costò, invece, un miliardo e mezzo di vecchie lire cioé 750 mila euro. Dagli anni ’90 ad oggi è cambiato qualcosa? Sì. In peggio.