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Dal ’68 al Sinodo quel bisogno disperato di giovani con vocazioni

Lasciamo ad altri il giudizio su quell’irruzione nella storia civile e sociale di movimenti che diedero una spallata al sistema e che lanciarono quel seme antiautoritario destinato ad avere anche degli esiti nefasti quali furono l’affermarsi delle ideologie di stampo rivoluzionario così come gli orrori del terrorismo e della lotta armata, con il loro strascico di lutti e di dolori. La suggestione, però, resta tutta. Soprattutto per quanti il ’68 l’hanno vissuto da credenti e che erano giovani fra i giovani di allora. Difficile sottrarsi all’effetto nostalgia che scatta automaticamente in questi casi, ma non è opportuno indulgere. Salvo ricordare a tutti noi che i giovani credenti di allora ebbero la straordinaria fortuna di vivere esattamente nella stagione del post Concilio, con tutto il suo carico di speranza e di rinnovamento ecclesiale. Ebbero infatti la provvidenziale opportunità, pur in un contesto di Chiesa ancora fortemente autoritario e accentratore, di respirare quell’aria fresca che irrompeva nelle dinamiche ecclesiali e soprattutto di alimentarsi a fonti limpide.

Da don Lorenzo Milani a don Primo Mazzolari, da David Maria Turoldo a Charles de Foucauld e tanti altri, giusto per fare degli esempi. E poi dirigendo le proprie energie positive alla catechesi, alla liturgia e alla carità. In mille forme diverse, in un’autentica primavera del Concilio, a Nord come a Sud. Naturalmente quei giovani entrarono anche nei consigli pastorali parrocchiali e diocesani, portando il loro entusiasmo e la loro carica innovativa, spesso contestatrice. E poi incanalarono la loro forza propulsiva in associazioni e movimenti. Insomma quei giovani parlavano, contestavano, a volte urlavano e dicevano spropositi. Ma erano giovani sino in fondo. Però non ebbero mai un Sinodo dedicato a loro.

Ecco, occorre ripartire proprio da questo. Cioè dalla scelta di Papa Francesco di indire un Sinodo tutto per loro, con il titolo: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale». Quella dei giovani è un’urgenza del nostro tempo difficile, che li vede quanto mai smarriti e disorientati soprattutto in Occidente. Ma affamati di futuro nei Paesi emergenti come la Cina o la Corea del Sud. Dove pure i cattolici, in larga misura giovani, mostrano segni di grande vivacità spirituale e pastorale. O ancora alla ricerca disperata di un approdo che li strappi alla miseria come è il destino di milioni e milioni di giovani africani. E sempre alle prese con le grandi disuguaglianze e con le instabilità sociali e politiche che affliggono i giovani dell’America Latina.

Tutto questo per ricordare che il Sinodo dovrà ascoltare i giovani di tutto il mondo e dovrà trovare vie della fede e del discernimento vocazionale su misura per mondi e contesti molto diversi. Per molti aspetti un’autentica impresa, se solo si pensa a cosa voglia dire essere giovani e cattolici oggi in Palestina o nelle terre dell’Islam. In questo mosaico ai cattolici italiani tocca fare la propria parte, senza lasciarsi deprimere dalle assenze dei nostri giovani e con l’aspirazione di favorirne la soggettualità. Da anni, infatti, conviviamo con generazioni silenziose e spesso invisibili. Salvo riaffiorare nelle cronache del disagio o della violenza. Basti pensare alle baby gang che terrorizzano i coetanei napoletani o al bullismo che imperversa nelle nostre scuole.

Ma i giovani italiani sono anche quelli che accorrono sempre numerosi alle Gmg, pure in luoghi lontani, e non fanno mancare il loro impegno nel volontariato. Eppure, ci sono atteggiamenti ricorrenti che inquietano: in troppi sembrano subire la vita, rinunciando ad esserne protagonisti. Un esempio per tutti: la disattenzione dei giovani verso la politica che si manifesta nella loro crescente diserzione delle urne. Se una preoccupazione forse va manifestata, riguarda proprio la dimensione vocazionale. Il nostro Paese ha un bisogno disperato di giovani con vocazioni. Tutte le vocazioni, anche quella alla politica, intesa come ricerca e servizio del bene comune. Anche questa, vogliamo ricordarlo, è una via di santificazione personale. Sottovalutarla non sarà un peccato, ma di sicuro è una gravissima omissione di responsabilità civile.