Opinioni & Commenti

Dialogo tra fede e ragione

di Gianfranco Ravasicardinale, presidente del Pontificio Consiglio della cultura

«Ti supplico, mio Dio, cerca di esistere, almeno un poco, per me, apri i tuoi occhi, ti supplico!… Sfòrzati di vedere: vivere senza testimoni è per noi un inferno! Per questo io grido e urlo: Padre mio, ti supplico e piango: esisti!». È il grido dello scrittore russo Aleksandr Zinov’ev in Cime abissali, e potrebbe essere implicitamente quello di ogni ateo alla ricerca di un Dio nascosto che non «telefona» mai alla sua creatura che pure è in angosciosa attesa di un suo squillo. Così, infatti, Eugene Ionesco aveva dichiarato in un’intervista: «Mi precipito al telefono ogni volta che suona, nella speranza, ogni volta delusa, che possa essere Dio che mi telefona. O almeno uno dei suoi angeli di segreteria».

Pur dichiarandosi atei, dunque, la questione su Dio rimane tuttavia presente per molti uomini e donne. «Preoccuparci che l’uomo non accantoni (tale questione) come questione essenziale della sua esistenza» è l’appello lanciato proprio da Benedetto XVI, in occasione del discorso per gli auguri natalizi alla Curia romana, con il quale chiedeva di aprire anche oggi una sorta di «Cortile dei gentili». Rispondendo a questo invito, è nata, in seno al Pontificio Consiglio della Cultura, l’istituzione denominata proprio «Cortile dei gentili», con lo scopo di realizzare un luogo simbolico di dialogo tra credenti e atei, desiderosi di confrontarsi tra loro sui grandi temi dell’essere e dell’esistere e sul mistero stesso di Dio.

In continuità con la tradizione ebraica, l’immagine del Cortile rievoca l’atrio più esterno del Tempio di Gerusalemme, nel quale erano ammessi i gentili, cioè i pagani, considerati non credenti dagli ebrei, che desideravano accostarsi al Tempio. Questo atrio era separato da quello degli israeliti per mezzo di un muro divisorio. L’apostolo Paolo sottolinea, però, che Cristo è venuto ad «abbattere il muro di separazione che divideva» ebrei e gentili, «per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, riconciliando tutti e due in un solo corpo» (Efesini 2,14-16).

Il «Cortile dei gentili», dunque, si sta sviluppando come un’opportunità reale di dialogo tra fede e ragione, che s’interrogano e ricercano attorno alle questioni capitali ultime e penultime dell’essere e dell’esistere. È ciò che è avvenuto nel marzo scorso a Parigi ove si è ufficialmente inaugurato il «Cortile» all’Unesco, alla Sorbona, all’Accademia di Francia e, per i giovani, nel piazzale di Notre-Dame. In quei giorni voci credenti e agnostiche si sono confrontate amichevolmente. Ciascuno aveva i piedi ben piantati nel suo «cortile» di ricerca, ma ognuno era in ascolto, con lo sguardo proteso oltre il confine, alle ragioni dell’altro. Da Bucarest a Firenze, da Tirana a Barcellona, da Stoccolma a Palermo, da Praga a Marsiglia, fino al Québec e agli Stati Uniti gli incontri oramai si stanno moltiplicando. Inoltre, il «Cortile» è comparso anche sul web con un portale che ne rappresenta non solo l’identità, la struttura e gli obiettivi, ma che costituisce altresì uno stimolo e un sostegno per la ricerca personale. La fiducia da cui muovono tali iniziative è la certezza che un dialogo autentico, svolto sul terreno dell’umanità comune, possa non demolire ma anzi rafforzare l’identità profonda, specifica di ciascuno. La parola chiave è, perciò, «ricerca», sulla scia del monito che già brillava nell’Apologia di Socrate in cui Platone metteva in bocca al suo maestro questa frase illuminante: «Una vita senza ricerca non merita di essere vissuta».