Opinioni & Commenti

Disabili, la vera risposta può arrivare solo da famiglia e volontariato

Ricordo ancora con chiarezza un giorno del marzo 1987. Un incontro  fra  rappresentanti di una associazione di pensionati e il gruppo  della DC  in Consiglio Comunale di cui facevo parte. All’ordine del giorno i vari problemi della terza età, con particolare riguardo alla non auto sufficienza. Quasi alla fine della riunione uno dei partecipanti, sulla settantina, molto garbato, che si presentò come ex operaio, chiese la parola. «Mia moglie ha la mia stessa età. Abbiamo una figlia». A quel punto la voce si ruppe e scoppiò in un vero e proprio pianto. Genitori di una donna  non più giovane portatrice di una grave disabilità, senza possibilità di vita indipendente e senza lavoro, ovviamente. Sempre circondata da tanto amore e tanti sacrifici ma con un futuro assai incerto e nebuloso. «Cosa succederà di lei, chi potrà occuparsene quando non ci saremo più?» concluse dopo essersi ripreso. È questa una fra le tante situazioni difficili della disabilità.

Il 6 dicembre scorso è stato celebrato il sesto anniversario della Convenzione delle Nazioni Unite «Sui Diritti delle Persone con Disabilità», ratificata dal Parlamento italiano il 20 febbraio 2009 e sottoscritta da tutti gli stati membri. Si tratta di una «Carta» dotata di un preambolo e 50 articoli, oltre ad un «Protocollo opzionale», che impegna gli stati aderenti ad adottare una serie di misure assai rilevanti al fine di garantire dignità e pari opportunità a tutti i cittadini diversamente abili. Adempimenti  particolari sono previsti per i minori e le donne e un’attenzione significativamente impegnativa è richiesta per i paesi in via di sviluppo, anche attraverso specifici interventi di cooperazione internazionale. È un documento che prende le mosse dalla «Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo» sancita solennemente dall’ONU nel 1948 e  dai successivi Patti internazionali sui diritti umani; sui diritti economici, sociali e culturali; sui diritti civili e politici e da numerosi  altri Patti a tutela della dignità di ogni persona umana.

Nella Convenzione sui Diritti delle persone con disabilità, è affermato, fra l’altro, che la maggior parte di queste persone vivono in condizioni di povertà, condizioni che, a loro volta, aggravano ulteriormente lo stato di disagio. Viene inoltre richiamata l’attenzione sull’importanza «dell’accessibilità alle strutture fisiche, sociali, economiche e culturali, alla salute, all’istruzione, all’informazione e alla comunicazione per consentire alle persone con disabilità di godere pienamente di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali». È anche interessante il richiamo alla responsabilità dei singoli cittadini verso l’impegno solidaristico per la tutela dei diritti dei disabili. Tradotto in termini concreti questo vuol dire, da un lato la necessità di una adeguata e corretta pressione fiscale finalizzata alla giustizia sociale e dall’altro l’esigenza di una particolare oculatezza e vigilanza nella allocazione delle risorse da parte dei Governi. Tutte affermazioni ottime e condivisibili, ma quanto sono applicate e rese concrete?

In Italia la responsabilità delle politiche sociali, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, è affidata alle Regioni le quali, in materia, hanno potere legislativo esclusivo. Le risorse sono in parte derivate da trasferimenti dello Stato e quindi dalla fiscalità generale e in parte da proventi propri delle Regioni. Il punto dolente è proprio questo, perché le disponibilità economiche del settore sono cronicamente al di sotto delle necessità. In effetti le disposizioni di legge in materia di sicurezza sociale ed in particolare per gli interventi a favore delle disabilità sono, in Toscana, a partire dalla Legge n. 41/2005 e seguenti, in piena linea con la Convenzione dell’Onu che, in alcuni casi, è addirittura superata. Vanno ricordate, al proposito, le disposizioni riguardanti i «progetti individuali di assistenza», le norme sulla «vita indipendente», quelle sulle «carte dei servizi sociali»; sulla determinazione dell’indice Isee (che attribuiscono un maggior peso alla presenza di familiari con disabilità); sul sostegno alle iniziative per il «Dopo di noi» e alla integrazione socio-sanitaria.

Purtroppo, però, all’art. 8 comma C della stessa legge si trova questa frase: «i servizi al cittadino sono forniti compatibilmente con le disponibilità finanziarie esistenti». Questo a fronte di un numero  assai elevato di disabili che in Toscana, secondo i dati dell’Inail, superano gli 82 mila, dei quali oltre 36 mila con disabilità motorie e 16 mila con disabilità psico-sensoriali.

Il discorso sulla carenza cronica di risorse sarebbe assai lungo. Si può affermare, in estrema sintesi, che le responsabilità di questa carenza sono di tipo politico e dipendono dalle scelte dei Governi centrali, regionali e locali. Ci possiamo chiedere infatti:  esistono settori nei quali si potrebbe risparmiare o lottare contro gli sprechi o razionalizzare le spese per incrementare quelle per le politiche sociali? Esistono margini di incremento delle risorse? In periodi di crisi come quello in cui stiamo vivendo è assai difficile dare risposte che non siano demagogiche. E allora?

Allora la risposta vera è una sola: le supplenze del volontariato e, ancor più, della famiglia. Le iniziative nel settore del volontariato sono davvero molteplici, come molteplici sono gli esempi di Associazioni spontanee tra famiglie o fra singoli cittadini con disabilità che affrontano insieme le situazioni più disparate e difficili. Ricordo, solo a titolo di esempio, il grande lavoro di ordine organizzativo, economico e legale fatto dai gruppi «con e dopo di noi» orientati a costituire cooperative o fondazioni per l’allestimento di appartamenti strutturati secondo i moderni indirizzi della «domotica» nei quali assicurare la presenza dei genitori per un certo periodo di tempo e poi avviare una completa autonomia dei figli disabili con l’eventuale aiuto di personale di supporto. L’esistenza delle molte associazioni che svolgono attività di auto aiuto e/ o di tipo «sindacale» ha dato e continua a dare un grande impulso al raggiungimento della parità di diritti per i soggetti con «diversa abilità». Non vanno dimenticate, a questo proposito, le interessanti iniziative promosse dalle famiglie, anche con l’aiuto delle istituzioni, nel settore delle attività sportive, turistiche, culturali e quelle, prevalentemente istituzionali, nel campo delle disabilità sensoriali (ad esempio la Scuola per cani guida alla quale si rivolgono utenti di ogni parte d’Italia e la stamperia Braille, che produce oltre 100 mila pagine ogni anno, ha un catalogo di oltre 4 mila volumi ed ha iniziato a stampare, dal 2009, un notiziario dal titolo «Sesto Senso»).

Le famiglie sono comunque la risorsa fondamentale, ma non vanno lasciate sole. È preziosa l’azione di «buon vicinato» che i gruppi parrocchiali o di varie associazioni cattoliche riescono a dare alle famiglie in difficoltà. Una presenza delicata che cerca di alleviare le fatiche e trova il modo di dare anche momenti di svago a chi deve giornalmente prendersi cura di familiari disabili o non autosufficienti. L’atteggiamento di amore e di dedizione sincera, non invadente di chi vede nel sofferente il volto di Cristo è un reale sollievo che apre alla speranza ed alla serenità. L’Amore è la forza unitiva che riesce a ridare slancio anche nelle condizioni più difficili. A questo proposito mi ha colpito, fra tante altre, una bella testimonianza di una giovane mamma. Caduta in forte stato di depressione dopo l’arrivo di un secondo figlio gravemente disabile, scrive: «una domanda che mi rivolse il primo dei nostri figli riuscì a scuotermi : perché non ti metti più il rossetto? Questa domanda semplice mi fece capire che dovevo assolutamente cambiare». Poi arrivò anche un terzo figlio, atteso con gioia, ma anche con molta trepidazione per la paura di una nuova amara sorpresa. Il terzogenito portò nuova serenità perché, sono ancora le parole della mamma: «l’amore che lui ci ha dato e l’unione e il rispetto che i miei tre figli hanno l’uno per l’altro è qualche cosa di unico e bellissimo».

La fatica e le difficoltà evidentemente rimangono, ma quando sono accolte con amore si trasformano in fonte di serenità. La stessa mamma racconta una battuta del figlio costretto a vivere per tutta la vita in carrozzina perché paraplegico dalla nascita. A scuola un insegnante della classe frequentata da mio figlio chiese agli alunni: «c’è qualcuno che va a farmi le fotocopie? Così vi sgranchite le gambe». Il figlio paraplegico immediatamente rispose: «Vado io Prof… è una vita che aspettavo questo momento!». Auto ironia espressa con il sorriso, dovuta ad una serenità interiore acquisita in una famiglia piena di dedizione e di Amore e dunque benedetta dal Signore. Lo stesso ragazzo, già sottoposto a numerosi interventi chirurgici, scrive in una sua lettera ad altri ragazzi paraplegici come lui: «Quando vi portano in sala operatoria…entrate tranquilli, sereni, con il sorriso sulle labbra, ma soprattutto entrate cantando una canzone. Questo vi aiuterà a superare il momento. La mia famiglia mi ha aiutato ad essere sereno e innamorato della vita e per questo il mio motto è: VIVA LA VITA…..sempre!» (da: «Cristalli, Testimonianze di genitori speciali» – Associazione Toscana Idrocefalo e Spina Bifida).