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Dopo il fallimento di Cancun politiche agricole da ripensare

di Romanello CantiniIl vertice dell’Organizzazione mondiale del commercio a Cancun è fallito. Ma questa volta il motivo principale della mancanza di un qualsiasi accordo riguarda soprattutto noi europei anche se non solo noi. A Cancun la cosiddetta globalizzazione ha cominciato a chiedere sacrifici anche ai Paesi ricchi. Questa volta i protagonisti del vertice sono stati quaranta Paesi del Terzo mondo, fra cui colossi come la Cina, l’India e il Brasile, che si sono coalizzati e hanno dato battaglia. Hanno preso in mano loro la bandiera della liberalizzazione degli scambi e hanno chiesto la fine o comunque la riduzione del protezionismo agricolo dell’Europa e di altri Paesi ricchi come gli Stati Uniti, il Giappone e la Corea del Sud. Sappiamo tutti che da almeno 40 anni l’agricoltura europea è fortemente sovvenzionata e protetta da dazi doganali. Ciò significa che quando facciamo la spesa spendiamo quasi sempre di più di quello che spenderemmo se nei nostri supermercati giungessero liberamente i prodotti stranieri.

Sembra che il protezionismo agricolo costi ad ogni famiglia europea circa mille euro in più. Ma questo sarebbe il meno. La nostra agricoltura sovvenzionata invade con i suoi prodotti i Paesi del Terzo mondo e fa una concorrenza sleale ai produttori locali. Il cotone prodotto nell’Unione europea e negli Stati Uniti ha, per esempio, una sovvenzione di un euro e mezzo al chilo contro il prezzo mondiale di appena un euro. I Paesi poveri sono duramente penalizzati e per di più non possono esportare i loro prodotti in Europa e negli Usa perché sono colpiti da dazi doganali del 40-50% con punte che arrivano pure al 300%. È stato calcolato che l’accesso dei prodotti agricoli del Terzo mondo nei Paesi ricchi potrebbe consentire un aumento del reddito dei Paesi in via di sviluppo di 150 miliardi di dollari: il triplo degli aiuti concessi al Terzo mondo ogni anno. Le decine di miliardi di euro che l’Ue spende ogni anno per la propria agricoltura va a vantaggio di una fetta sempre più ridotta della propria popolazione. In Europa soltanto un abitante su 20 si dedica ormai all’agricoltura. Al contrario nel Terzo mondo aiutare i contadini significa quasi sempre aiutare più della metà della popolazione.

Posto in questi termini il problema del protezionismo agricolo europeo sembrerebbe solo un atto di egoismo in un mondo che si vuole sempre più governato da regole valide per tutti. E tuttavia non si può dimenticare che l’agricoltura, oltre che produrre, svolge un ruolo fondamentale nella conservazione dell’ambiente per ridurre lo smottamento dei terreni, contrastare le frane e le alluvioni, evitare la desertificazione e serbare un paesaggio agrario spesso prezioso. Già il produttivismo agricolo esasperato degli ultimi 40 anni ha provocato danni notevoli in questa direzione. Ora, al punto in cui siamo, è necessario, anche al di là della piccola riforma della politica agricola comune che è stata introdotta nel giugno scorso, separare ancora di più il ruolo del contadino come operatore ecologico dal ruolo del contadino come produttore. Premiare il primo separatamente con incentivi e lasciare il secondo nella logica di una corretta concorrenza internazionale è ciò che ormai ci chiedono da un lato l’amore della propria terra e dell’altro l’interesse dell’intero pianeta.