Opinioni & Commenti

Famiglia e matrimonio sotto i colpi di mode e mercato

di Umberto FolenaFinché stiamo bene così, perché cambiare? Quanta apparente felice modernità in questa affermazione, filo conduttore del commento a un’indagine Istat sulla famiglia apparso nei giorni scorsi sulla Nazione e sugli altri giornali del gruppo (Il Giorno e Il Resto del Carlino). L’autrice si dichiara «non moglie» e parla del suo lui come «non marito». Hanno una figlia, stanno bene così. Finché.

L’Istat: nulla di nuovo. A un matrimonio su quattro si approda dopo una convivenza, più o meno lunga, in genere «di prova». Cose che già si sanno. Il matrimonio è demodè, la convivenza è di moda. Della convivenza si parla con orgoglio e ironia, sfoggiando un superiority complex che sfiora l’arroganza. Del matrimonio si tace. Se ne parla in chiave di «crisi di». Se ne sottolinea la fragilità: quanto dura di media, perché si rompe, come romperlo limitando le sofferenze, eccetera. Alle convivenze si guarda invece con simpatia, incoraggiandole. Perché?

Partiamo dalla Nazione. Con una nota semantica. L’autrice definisce se stessa e il suo lui in negativo: non moglie, non marito. Per sottolineare uno strappo e una distanza. In effetti la lingua non aiuta. Fidanzato? I fidanzati sono (erano?) giovani, non convivono e si preparano al matrimonio. Compagno? Vocabolo troppo legato all’esperienza comunista, quindi equivoco. Partner? Freddino. Pard, come Tex Willer e Kit Carson? Non scherziamo.

Il problema è culturale. Riguarda quel che pensiamo di noi, del nostro futuro e della nostra vita. Il problema è che tutti i legami stabili, duraturi, per sempre, vengono smantellati dalla modernità liquida, come direbbe il sociologo Zigmunt Bauman. La convivenza è fluida, leggera, soft and light. Il matrimonio è solido, fatto per durare (gli sposi ce la mettono tutta), hard and heavy. Che cosa faccia meglio alla persone e alla società, ecco, su questo cala il silenzio assoluto. Anche da parte di chi è sposato e ha la percezione di essere isolato e in minoranza, nel senso che il mondo pare vada da un’altra parte. E non è questione di destra e sinistra o di cattolici e laici. Per capirci, il 25 agosto su Libero abbiamo letto questo titolone: «Potrai sapere in anticipo se tuo marito ti ucciderà». Catenaccio: «Uno speciale esame di coppia consente ora di scoprire se lei farà questa fine. Perché l’uxoricidio è un crimine prevedibile». Non è meraviglioso? Se hai dei dubbi, la voglia di sposarti ti viene o ti passa?

Il problema è culturale e consiste nel ritrovare i pensieri e le parole che li esprimano. Pensieri: nessuno pare abbia niente da dire sulla diversa qualità di un legame per sempre; sulla diversa condizione di figli che non hanno genitori «finché dura», ma cercano, si impegnano, sono determinati a restare fedeli; sulle responsabilità che la famiglia si assume di fronte alla società, e le superiori garanzie che offre. Nessuno s’avventura in un dibattito attorno a questa domanda radicale: il matrimonio monogamico, per sempre, aperto ai figli, è storicamente contingente oppure risponde a un’esigenza impressa nel Dna dell’anima?Ma no, meglio ironizzare sul matrimonio così poco moderno. Meglio seguire la moda e il mercato. Meglio abbracciare la sua ideologia e farsi corifei della modernità liquida. Otterrai il consenso sociale e i passaggi in tv, e ti pubblicheranno gli articoli sui giornali di tendenza. Quando è moda è moda, cantava Gaber quasi trent’anni fa. E il tono, per chi se lo ricorda, non era di approvazione.