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Gli italiani a fianco di Mattarella nella cura della Repubblica

Mentre il presidente della Repubblica Sergio Mattarella parlava per la prima volta agli italiani dagli schermi televisivi, ci incalzavano le parole del Papa pronunciate poche ore prima nella Basilica di San Pietro: «Il bene vince sempre, anche se in qualche momento può apparire più debole e nascosto». Francesco ha confessato la sua certezza che affonda le radici nella fede cristiana, ma che nella storia dell’umanità ha trovato puntualmente conferma, pur pagando talvolta prezzi altissimi sull’altare della violenza, degli egoismi e della follia del potere. Se il corso della storia dell’uomo, pur fra mille cadute e curve pericolose, non fosse stato questo, oggi non saremmo qui a parlarne e a scriverne. Il male avrebbe fatto il suo sporco lavoro e oggi non potremmo continuare a sperare di costruire un mondo più giusto per tutti.

Ecco… ecco perché le parole del Presidente ci rimandavano a quelle di Francesco.

Sì, nelle parole di Mattarella, volutamente semplici perché potessero raggiungere dalla Casa degli italiani (il Quirinale) tutte le case degli italiani, c’era un filo rosso ben riconoscibile: la speranza.

E la speranza è la virtù di chi crede che il male non può vincere la partita della vita. Una partita che l’Italia e gli italiani possono ancora vincere perché hanno tutte le carte in regole. Purché si marci tutti insieme nella stessa direzione e la si smetta di crogiolarsi nei nostri difetti nazionali («scarso senso civico, particolarismo, individualismo accentuato«) e si abbia la capacità di confermare con i nostri gesti le virtù che il mondo intero ci riconosce («genio, bellezza, buon gusto, inventiva, creatività»).

Gli italiani per-bene, di sicuro la maggioranza assoluta, giorno dopo giorno, devono fare i conti con gli scandali, le tangenti, la corruzione, l’infedeltà, la mancanza di trasparenza degli italiani per-male. Nessun gruppo, comunità, società, nazione può sopportare troppo a lungo il peso del male, soprattutto se organizzato. Noi cittadini che ogni giorno ci guadagniamo da vivere, noi che paghiamo le tasse, noi che facciamo il nostro dovere, noi che cresciamo ed educhiamo i nostri figli, noi che il lavoro non ce l’abbiamo ma siamo pronti a rimboccarci le maniche, noi che viviamo al Sud e soffriamo perché non abbiamo le stesse condizioni di vita dei nostri cugini del Nord, noi che siamo giovani e un lavoro ce lo sogniamo, noi che siamo donne e dobbiamo sopportarne tante-troppe nel lavoro e in famiglia, noi che abbiamo un handicap e dobbiamo strappare la vita a morsi… Ecco, noi tutti abbiamo la certezza di avere un amico che vive nella Casa degli italiani. Un uomo di Stato che per l’ultimo dell’anno decide di non parlare in politichese, di non occuparsi del Palazzo e delle sue logiche di potere, di non lanciare messaggi palesi o sibillini alle forze politiche o alle altre cariche dello Stato. Piuttosto, sceglie per il suo discorso un taglio sociale. Meglio, antropologico.

Un ragionamento, quello del Capo dello Stato, che non tradisce la laicità, ma sa cogliere nel magistero di Francesco quello che serve al Paese. Il suo, dice in riferimento al Giubileo della misericordia, «è un messaggio forte che invita alla convivenza pacifica e alla difesa della dignità di ogni persona. Con una espressione laica potremmo tradurre quel messaggio in comprensione reciproca, un atteggiamento che spero si diffonda molto nel nostro vivere insieme». Ecco una piccola lezione di sana laicità che sa cogliere nella volontà dell’uomo di fede una predisposizione che se venisse condivisa da tutti i cittadini, porrebbe le premesse ad una convivenza non solo pacifica, ma costruttiva.

Poi, non so a voi, ma a noi sta proprio simpatico un Presidente della Repubblica che prima di accomiatarsi fa «un augurio speciale a tutti i bambini nati nel 2015: hanno portato gioia nelle loro famiglie e recano speranza per il futuro della nostra Italia».

Ben detto, signor Presidente. Le assicuriamo che saremo al suo fianco nel prenderci cura della Repubblica.