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Gmg, il coraggio di ripensare una formula vincente

«L’anno prossimo, a Gerusalemme«! Così si salutavano i pellegrini in Israele ogni anno, dopo la Pasqua. I giovani pellegrini di Cracovia, si sono salutati oggi dicendo: «Fra tre anni, a Panama«! Non è la stessa cosa, ma ci sono delle affinità. Soprattutto nel fatto che la celebrazione di giorni di festa, genera una serie di legami da cui è difficile staccarsi. E, dunque, salutarsi dandosi un prossimo appuntamento rende meno doloroso dover lasciare gli amici.

A essere onesti, bisognerebbe anche dire che molti si salutano così, tanto per farlo. Ma non è detto (anzi!) che tutti gli italiani di Cracovia li ritroveremo a Panama. E così si apre il tempo dei bilanci, del tentativo di rileggere l’esperienza facendone sintesi. Credo serva un po’ di tempo, per farla decantare. Ma, almeno per il momento, alcune cose possono essere ricordate.

Anzitutto, come a ogni edizione, la Gmg si presenta con tutto il suo carico di fatiche, anche fisiche. In questi giorni – scherzando – dicevo ai ragazzi stanchi che incontravo, oppure a chi mi faceva notare le tracce della stanchezza: se avessimo voluto riposare, saremmo andati a Rimini.

Molte cose, da un punto di vista organizzativo, non sono andate bene; forse si sarebbe potuto fare meglio, ma per le difficoltà logistiche ci vuole molta pazienza e comprensione: gestire un evento del genere non sarebbe facile per nessuno. Solo un appunto mi sentirei di fare davvero a cuore aperto: non si possono organizzare allo stesso modo una Gmg a Madrid come a Cracovia.Le leggi della fisica sono insormontabili: muovere migliaia di persone avendo a disposizione undici linee metropolitane, non è come farlo potendo contare solo su poche linee di tram.

E comunque è arrivato il tempo di ripensare anche allo schema generale di ciò che si fa. Non si può tenere per sempre una formula che (seppure vincente) dura da almeno tre decenni.

Diventa sempre più forte il legame fra i giovani e Papa Francesco. Mi ha detto un vescovo, di aver visto giovani addormentati durante la Via Crucis, risvegliarsi immediatamente mettendosi in piedi, appena il Papa cominciava a parlare. Il legame cresce sempre più e sicuramente è un legame che sta portando la voce e le parole del Papa nel cuore dei ragazzi.

Casa Italia ha fatto il suo compito: tantissimi giovani italiani (e non solo) sono passati di lì e hanno trovato una porta aperta che voleva essere metafora dell’apertura del cuore per ognuno che avrebbe varcato la soglia.

La speranza (ovviamente) è che le pastorali giovanili diocesane e legate ai singoli territori, sappiano ora non buttare il patrimonio di relazioni e di esperienze fatte. Si apre lo spazio della rilettura e del confronto: durante le catechesi i ragazzi hanno dimostrato di avere dentro di sé molte e belle domande. Speriamo che non siano lasciati a se stessi nel cammino di ricerca personale.

Ci vorrà molto tempo per far crescere ed emergere il buono seminato durante questo tempo. Solo i più superficiali vorrebbero avere subito risposte. La pazienza del contadino insegna che non si possono tirare i fili d’erba perché crescano più in fretta: è sufficiente innaffiare e attendere.

Mi si chiudono gli occhi dalla stanchezza, mentre finisco queste righe. Ma col pensiero credo che si potranno fare molte cose con lo sguardo rivolto a Panama. Più di tutte, però, è oggi dire grazie al Signore per le tante cose belle accadute nel cuore di questi ragazzi. E soprattutto prendersi per mano, affinché riusciamo a sentirci popolo in cammino anche durante le vicende quotidiane dentro le nostre città e i nostri paesi. Perché il Vangelo di Gesù continui a essere anima per la vita del mondo.