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Governo Prodi, punto e a capo

162 voti a favore e 157 contrari, con il senatore a vita Giulio Andreotti che non ha partecipato al voto per non dare un peso negativo alla sua annunciata astensione (al senato equiparata ai no). Questo l’esito della votazione di fiducia la governo Prodi arrivata nella tarda serata di mercoledì 28 febbraio. La maggioranza incassa il sì di quattro senatori a vita (Ciampi, Scalfaro, Colombo, Rita Levi Montalcini) dell’indipendente eletto all’estero Luigi Pallaro, dell’ex segretario Udc, Marco Follini, e dei due “dissidenti” Fernando Rossi e Franco Turigliatto, che con la loro astensione sulle comunicazioni di D’Alema avevano aperto la crisi. Ma lo stesso Turigliatto ha già fatto sapere che quando si tratterà di votare sulla nostra missione in Afghanistan il suo sarà un no.

Adesso il dibattito si sposta a Montecitorio, dove però Prodi dovrebbe incassare la fiducia senza problemi. Al Senato, invece, ha vissuto ore di apprensione per i silenzi del senatore Pallaro e per l’astensione di Andreotti che avrebbero potuto incidere negativamente. Nella sua replica, Prodi aveva dovuto precisare la sua posizione sui “Dico” (diritti e doveri dei conviventi), dichiarando esaurita con la presentazione del disegno di legge l’iniziativa del governo: adesso il testo è affidato al parlamento dove dovrà trovare una maggioranza, anche diversa rispetto a quella di governo.

Ma gli scenari sono quelli di un anno faPoco meno di un anno fa – il 9 e il 10 aprile – le elezioni politiche avevano consegnato un sostanziale pareggio tra due schieramenti di inusitata ampiezza: l’Unione e la Casa delle libertà. Fuori erano rimaste solo le briciole: in particolare alcune decine di migliaia di voti andati ad un movimento fondato dall’industriale veneto Panto. Alla Camera l’Unione si era aggiudicata il premio di maggioranza con un divario in termini percentuali dello 0,06% – il sei per mille – pari a 24.775 schede. Al Senato la Casa delle libertà aveva ottenuto 428.129 voti e un seggio in più nella circoscrizione Italia, compensati tuttavia dall’affermazione nella circoscrizione Estero dell’Unione, che aveva così potuto arrivare alla maggioranza. Gli elettori, che erano affluiti in gran numero alle urne (83,6%), avevano consegnato, nella loro grande saggezza, un compito complesso, delicato e creativo alla classe politica.

All’Unione innanzi tutto, che doveva trasformare il programma elettorale in programma di governo ed assicurare al Paese l’auspicata governabilità. Che resta il vero nodo, anche dopo oltre duecento giorni di governo Prodi II, che ora ha riottenuto la fiducia dopo le dimissioni per essere uscito sconfitto dal voto del Senato sulle dichiarazioni di politica estera del ministro D’Alema. Di fatto, però, si ritorna al dato di quasi un anno fa e alla necessità di una nuova iniziativa politica: che d’altra parte è il problema che serpeggia nel sistema politico italiano dopo la riuscita, ormai quasi quindici anni fa, della scommessa estrema di Achille Occhetto, nel tentativo di traghettare il Pci oltre il 1989, «che si dovesse colare a picco la Prima Repubblica senza preoccuparsi tropo di come edificare la Seconda».

Il vuoto apertosi dopo il referendum del 18 aprile 1993, che, insieme con Tangentopoli, affossa tutta una leva politica e tutti i partiti storici, spiega la discesa in campo di Silvio Berlusconi, intorno al quale, dal gennaio 1994, si articola il sistema politico «bipolare» e le successive «alternanze per disperazione», che arrivano fino al 10 aprile 2006. Oggi una «seconda Repubblica» che non è mai nata reclama un approdo di stabilità che però è ancora lontano. Nessuna scorciatoia istituzionale lo può avvicinare, ma solo un paziente e alto lavoro politico, una creativa sintesi, che richiede capacità di leadership e soprattutto di imprenditorialità politica e una nuova consapevolezza della peculiare identità italiana.

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