Opinioni & Commenti

I «Genders», la festa della donna e i giochi olimpici

di padre Giancarlopriore di Sant’Antimo

Tutti abbiamo sentito parlare di questa teoria sociologica sviluppatasi negli anni settanta che propone l’abolizione dei due sessi – cioè quello maschile e quello femminile – per introdurre il termine di gender che descrive una nuova identità sessuale: il «sesso sociale». Secondo questa ennesima nuova teoria, l’identità di genere non deriva più dalla biologia come lo è stato per millenni, ma da un insieme di fattori sociali che «fabbricherebbero» in qualche modo uomini e donne a partire dal sesso biologico. Per questi «studiosi», la differenza tra l’uomo e la donna quindi non è più legata a un dato biologico, ad un’identità iscritta nel corpo, ma è la risultante di tante variabili che vanno dall’educazione, alla cultura, ai mass media e che, alla fine, determinano l’identità di genere a cui ognuno sente di appartenere o con cui si identifica. Perciò, l’umanità non è più divisa tra maschi e femmine, ma è un’informe massa di persone che scelgono chi vogliono essere. E il sesso non esiste più, ma è diventato un’oppressione, il frutto di una discriminazione culturale superata!

La conseguenza di questa teoria è che non sarà più possibile distinguere un uomo da una donna. Lesbiche, gay e travestiti diventano allora i testimoni di un desiderio che non rientra più nella differenza naturale uomo/donna. Come si vede, la sostituzione della parola sesso con la parola gender, non è introdotta per mere intenzioni di raffinatezza o eleganza, ma per una ragione ideologica ben precisa: teorizzare la priorità del genere sul sesso, e dunque della volontà sulla natura. Consiste nel rifiuto della realtà, nella lotta per l’abolizione dei confini tra naturale e contro-naturale, nell’apertura alla liberalizzazione nei confronti di qualsiasi scelta sessuale. Significa quindi ritenere che ogni individuo possa scegliere la sua identità di genere a prescindere dalla sessualità del proprio corpo e che ogni orientamento sessuale vale quanto qualsiasi altro.

Così a poco a poco, questo termine è entrato nel nostro linguaggio comune, perché è molto trendy, cioè molto chic, perché è un termine inglese, moderno quindi. Perciò, non si dice più «differenze sessuali», che fa ora davvero molto antiquato, perché ricordano il sesso, ma gender che è molto più alla moda. Per seguire fino in fondo questa logica, per la prima volta in Australia, un uomo/donna (forse bisognerebbe dire donno o uoma, non si sa più oggi come usare le parole) si è presentato all’anagrafe del suo comune, chiedendo di essere registrato nella categoria di sesso neutro, cioè insieme maschile e femminile.

Se l’identità sessuale è il prodotto di una scelta individuale, allora perché non accettare e legalizzare anche la scelta di chi non vuole scegliere? Partendo da questa teoria, cerchiamo di sorridere un po’ pensando che, oltre alla festa della donna dell’8 marzo, potremo proporre di creare una nuova festa per rilanciare il Pil, ma questa volta per i genders di tendenza femminile. Perché no?

Allo stesso modo, in occasione delle prossime Olimpiadi di Londra, potremmo consigliare agli sportivi genders di tendenza maschile di scegliere di presentarsi come genders di tendenza femminile. Infatti, come tutti sanno, il metro di valutazione è molto più vantaggioso in questa seconda categoria – questo senza voler fare discriminazioni nei confronti dei genders di tendenza maschile. E così potremo assistere ad una valanga di primati – ciò che farà sicuramente piacere a tutti gli appassionati di sport.