Opinioni & Commenti

I costi della guerra

di Romanello CantiniIn questi giorni cruciali in cui si decide se disarmare Saddam con le ispezioni o con le distruzioni, se fare la pace o fare la guerra, se farla in pochi o farla in molti, forse non è male riassumere, come un vademecum per le responsabilità dei grandi che scelgono e dei piccoli che non vogliono solo stare a guardare, quello che la guerra costa o può costare al di là del giudizio morale sulla guerra in sé. Prima di tutto il costo umano. Le vittime della guerra del Golfo di dodici anni fa sono state tenute segrete. Ma con molta probabilità da parte irachena ci furono circa centomila vittime. Questa volta per eliminare Saddam si dovrà quasi certamente combattere casa per casa in città come Bagdad o Bassora. In questo tipo di combattimento finora i marines non hanno dato buona prova di sé. Dieci anni fa, in Somalia, in scontri di questo tipo durati poche ore furono uccise decine di soldati americani. Nella guerriglia urbana senza fronte e senza uniformi le vittime fra i civili sono la regola e non l’eccezione. L’Iran teme già sin d’ora l’afflusso di milioni di profughi alle sue frontiere. Lo scenario del dopo Saddam è vago e inquietante. Le uniche forze di opposizione interna, data l’inconsistenza degli iracheni in esilio, sono i curdi a nord e gli sciiti a sud che rappresentano la maggioranza della popolazione. Ma i curdi potrebbero creare un proprio stato con un effetto trainante e destabilizzante sui curdi della Turchia e su quelli dell’Iran. Nel caso di una prevalenza degli sciiti si sarebbe eliminato un regime relativamente laico e tollerante dal punto di vista religioso come quello di Saddam per sostituirlo con un regime fondamentalista di tipo iraniano. Uno stato di occupazione di più anni da parte americana risulterebbe ancora più provocatorio per il mondo islamico. Questa eventualità avrebbe bisogno della permanenza di decine di migliaia di soldati americani come altrettanti bersagli di attentati terroristici e di una guerriglia forse permanente. Nel corso delle ostilità non sono del tutto da escludere «incidenti di percorso» ancora più gravi: avvelenamenti di massa in caso di incendio dei pozzi petroliferi, una risposta nucleare in caso di uso di armi chimiche, un’analoga rappresaglia di Israele in caso di attacco diretto, un uso dell’arma atomica per distruggere ipotetici depositi sotterranei di armi di distruzione di massa. La reazione delle masse arabe più dei loro governi, che in questo caso abbaiano, ma non mordono, potrebbero mettere in crisi regimi come quello egiziano, saudita, giordano. Basta pensare al crollo del turismo, all’aumento dei noli e delle assicurazioni sui trasporti per prevedere gli effetti negativi su tutte le economie della regione.L’ostilità esasperata del mondo islamico darà nuovo materiale umano alle reti terroristiche e alle tendenze estremistiche. Dopo la guerra del Golfo furono moltissimi nel mondo islamico i neonati a cui fu messo il nome di Saddam. Anche in questo caso si farebbe di un tiranno un idolo da vendicare.

Un atto terroristico delle dimensioni analoghe a quello dell’11 settembre basterebbe a ripiombare il mondo nella depressione. A seconda della durata delle operazioni la guerra si ripercuoterà sul prezzo del petrolio. Si è calcolato che un mese di guerra può far schizzare il prezzo del petrolio a 40 dollari al barile e ridurre dell’uno per cento il prodotto dell’economia mondiale. Non si può dimenticare che alle guerre del Medio Oriente – quella del Kippur nel 1973, quella iracheno-iraniana degli anni ’80, quella del Golfo del 1991 – sono seguiti periodi di recessione dell’economia mondiale con l’acuirsi delle tensioni sociali e delle distanze fra ricchi e poveri. Una ragione in più questa per rendersi conto che anche la sicurezza non è legata solo ad operazioni di gendarmeria internazionale, ma anche al livello di speranza e di reciproca fiducia fra tutti gli uomini e tutto deve essere tentato pur di evitare le soluzioni estreme che, mentre pensano di disarmare le mani, armano gli spiriti.

Un fermo no alla guerra all’Iraq. Il testo del messaggio dei vescovi toscani

Blix: Baghdad deve fare di più. Le ispezioni continuano

Dai vescovi toscani il no alla guerra. (Cet 30 settembre-1° ottobre 2002)

Mons. Martino, la guerra è sempre una sconfitta

Il testo del Discorso del Papa al Corpo Diplomatico

La pace non è ostaggio di nessuno (di Giuseppe Savagnone)

Giorgio Rumi: sulla guerra doveroso il richiamo del Papa agli Usa

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La pace a 40 anni dalla «Pacem in terris»

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