Opinioni & Commenti

Ici alla Chiesa, nessun privilegio e nessun arroccamento

DI FRANCESCO BONINI

Si è riparlato di Ici (tra poco Imu) e Chiesa cattolica, in un dibattito nervoso, segno di una situazione ancora tesa. È necessario fare chiarezza e portare serenità. I termini della questione sono evidenti. La Chiesa cattolica gode dell’esenzione, come la altre Confessioni e un’ampia sfera di organizzazioni ed enti “laici”, pubblici o privati, non commerciali e riconducibili al no profit, per le attività istituzionali. L’esenzione dall’Ici è riconosciuta solo per gli immobili non commerciali. Per gli altri la Chiesa o gli enti religiosi proprietari sono assoggettati, come tutti, a tassazione.

Nessun privilegio, come ha sottolineato lo stesso presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco: “La normativa vigente è giusta, in quanto riconosce il valore sociale delle attività svolte da una pluralità di enti no profit e, fra questi, degli enti ecclesiastici. Questo è il motivo che giustifica e, al tempo stesso, delimita la previsione di una norma di esenzione”.

Sul piano tecnico le cose sono chiare. La Chiesa cattolica paga quello che c’è da pagare, non paga quello che è previsto, come tutti, e non gode di nessun privilegio. Atteniamoci dunque ai fatti, che sono uguali per tutti e parlano chiaro.

Se ci sono stati abusi nell’interpretazione della legge, “casi concreti nei quali un tributo dovuto non è stato pagato, che l’abuso sia accertato e abbia fine”. E comunque – ha concluso il cardinale Bagnasco – “non vi sono da parte nostra preclusioni pregiudiziali circa eventuali approfondimenti volti a valutare la chiarezza delle formule normative vigenti, con riferimento a tutto il mondo dei soggetti no profit, oggetto dell’attuale esenzione”.

Su questa solida base si possono fare due considerazioni.

Prima di tutto evitiamo di buttarla in politica. In una situazione oggettivamente grave, sollevare polveroni, ricorrere a vecchi schemi laicisti, giova solo a chi alimentando risse ideologiche, vuole dimostrare di esistere, o vuole sviare l’attenzione da altro.

Ecco, allora, il secondo punto, la richiesta cioè che la Chiesa dia un segnale. Basta guardare il calendario: il prossimo anno si ricorderanno i cinquant’anni dal Concilio. Fu allora che, a partire dal “triregno” del Papa, tutte le pompe sono state abolite. Le numerose iniziative d’intervento per le famiglie e per tutti coloro che la crisi sta mettendo in difficoltà sono scrupolosamente documentate e non solo quando sono messe in opera con fondi pubblici. D’altra parte le porte delle case della carità, delle aule di catechismo, dei gruppi parrocchiali, delle associazioni e dei movimenti, degli ospizi, delle parrocchie, degli oratori, dei musei diocesani, delle biblioteche, delle case-famiglia e di migliaia di opere e iniziative che animano da sempre la nostra vita sociale, culturale e civile, sono sempre aperte per chi voglia toccare con mano e magari dare una mano.

Perché di questo c’è bisogno: certo, di una rendicontazione puntuale e scrupolosa sui soldi, ma anche di quelli che gli economisti chiamano “beni immateriali”, che sono un patrimonio prezioso per tutti e che tutti siamo chiamati a salvaguardare e far crescere sempre di più.

Chiesa e Ici, altro che evasori…