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Il Carnevale in tempo di crisi

Guardando bene le cose in fondo la crisi che ci tormenta non è fatta di disastri, sventure, cataclismi, carestie, maledizioni piovuteci addosso da chi sa dove: purtroppo il tempo di vacche magre che attraversiamo è dovuto soltanto a cose fatte male dall’uomo, il quale si ostina cocciutamente nel tentativo di eliminarne gli effetti lasciando intatte le cause. È un tentativo assurdo perché, anche riuscendo nell’intento, la situazione si aggrava ulteriormente, non evitando, ma rimandando il collasso e ingigantendolo.

Il Carnevale, come oggi si vive, è un sintomo evidente della malattia assai diffusa: è una specie di ricorrenza ormai sradicata da qualunque filamento di fede. La festa infatti per sua natura è legata a una gioia, a un’esultanza derivante da un danno evitato, un male scongiurato, un successo raggiunto, una pace assicurata, una vittoria ottenuta; ma l’uomo che improvvisamente si mette a far festa senza una ragione al mondo, dà più l’idea d’un pazzo che d’un essere felice. Nessuno, tra coloro che si trovano in maschera a celebrare il rito dell’allegria per eccellenza, quale è il Carnevale, oggi ha la minima idea della ragione per la quale lo stia facendo, tanto più in questo periodo in cui il futuro non promette nulla di buono e non ci sono ragioni per compiacersi di aver fatto cose belle e importanti (anzi!), d’aver raggiunto traguardi onorevoli e gloriosi.

Allora? Le ragioni spirituali che un tempo offriva la fede per esultare, il mondo non le condivide più; la contrapposizione a un periodo di riflessione, preghiera, morigeratezza, meditazione, quale era la Quaresima, non c’è più; neppure le materiali spinte di glorificazione della fecondità della natura, di gioia pagana per la vita che risorge nel freddo dell’inverno preparando la futura abbondanza, nessuno le percepisce più.

Allora è festa, ma di che? Eppure l’immotivata allegria dei carri di trionfo tende a debordare dai tempi tradizionali, invade la Quaresima nella quale si continua a manifestare gaudio e tripudio, anzi ad espandersi quanto più possibile in tutto il giro dell’anno per farne un bagordo generale di spensieratezza, alimenti, giochi, inventando feste su feste per lo più banali seguendo la vera spinta che sta nel cuore: il consumo e il profitto. E quindi feste, sagre insulse della mamma, del babbo, dei fidanzati, della frittella, dei ravanelli, del maiale, del salame, delle cotiche: festa di tutto dappertutto, per vendere, bere, mangiare, far quattrini. Per questo non c’è bisogno di solennità e commemorazioni: basta alzare una bandiera con sopra un dollaro. Il tempo di crisi sta ridimensionando certe frenesie e il tempo di vacche magre non è affatto negativo se serve a capire gli errori e a correggerli.

D’altra parte anche la natura procede per crisi, a cominciare dalla madre terra che si rigenera continuamente e, contro gli agenti atmosferici e la forza di gravità che tenderebbero a farne una pianura uniforme e melmosa, reagisce con l’attività termica interna ricreando i dislivelli vitali e generatori d’energia. Ma il segreto della vita è il globo interiore di fuoco, il cuore segreto del mondo che non può essere né il consumo, né il danaro, né il potere o altro feticcio.