Opinioni & Commenti

Il Convegno ecclesiale un anno dopo

Il quinto Convegno ecclesiale era stato progettato come la prosecuzione di un cammino pastorale e culturale centrato sulla «questione antropologica», come suggeriva il titolo stesso (In Gesù Cristo il nuovo umanesimo), ma è divenuto nei fatti una riflessione sulla misericordia intesa come espressione di un’adesione a quel Gesù che, lo ricordava Francesco, è «il volto più autentico dell’uomo». In questo mutamento in corso d’opera si coglie come Firenze abbia costituito un momento di passaggio: l’ingresso, anche della realtà ecclesiale italiana, in una dinamica di «riforma» che tuttavia non va intesa come riordino o mutamento delle sue strutture e delle sue prassi. I delegati di Firenze hanno piuttosto condiviso l’esigenza di interrogarsi sul modo di essere oggi, ponendo l’accento su quello che il teologo Christoph Theobald chiama «stile» cristiano. È cioè emersa l’esigenza di ricercare forme e modalità di vita che possano incarnare il Vangelo nella nostra realtà e rendere efficace il suo annuncio.

Firenze lascia l’immagine di una Comunità ecclesiale che è chiamata a cerca la propria forma non in equilibri istituzionali ma nella riscoperta della teologia del Popolo di Dio che passa per l’esperienza quotidiana. La scelta di gestire i lavori del convegno con una modalità «sinodale», che agevolasse la discussione, la riflessione partecipata e la conoscenza fra i delegati del convegno, ha allora rappresentano un segno importante della volontà di procedere lungo questa via, che tuttavia è ancora da sostanziare e costruire.

In questo senso rimane da superare una logica di progettualità che troppo spesso muove da principi e assunti generali per poi cercare di modellare la realtà. Nell’affidare alla Chiesa italiana l’esortazione Evangelii gaudium, Francesco ha lasciato una via possibile per il futuro che è quella che passa dal riconoscimento della Chiesa come una realtà costitutivamente incarnata nella realtà italiana. Per questo le tensioni, le aspirazioni, i mali e le capacità che la Chiesa italiana vive sono lo specchio fedele del sentire profondo del paese. E questo perché quello riunitosi un anno fa a Firenze è il Popolo di Dio che condivide la cultura, la sensibilità, la storia del paese e in questo paese è chiamato, avendo come maestro il vero uomo che è Cristo, ad essere fonte di umanizzazione dei rapporti sociali, dell’economica, della politica, della cultura.

Si gioca qui il futuro della Chiesa italiana. Dal modo in cui il Popolo di Dio saprà spendersi sul terreno dell’esercizio della carità verso gli altri, verso i poveri, gli stranieri, i deboli, può emergere una forma di esperienza cristiana autenticamente fedele al Vangelo e a Cristo. Questa sfida e questo mandato, che proiettano la Chiesa italiana nel prossimo decennio, rappresentano forse la vera eredità del convegno fiorentino.