Opinioni & Commenti

Il Mistero nel silenzio di una Notte luminosa

di Franco Vaccari«Oggi vi è nato un salvatore. Un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia». Frase arcaica, quasi incomprensibile, nel tempo in cui un figlio si sceglie, si programma, si progetta, si adotta e magari si riconsegna, si concepisce in affitto, si costruisce in vitro, si affida a una, due persone, neanche madri, neanche padri. Quel bimbo è nato da Maria, ed è di Maria e di Giuseppe, in modi diversi. Quel bimbo, dato a due genitori, già adolescente sfuggirà al possesso della madre e del padre, lascerà i famigliari dichiarando «chi sono i miei fratelli?» e, ormai uomo, abbandonerà tutti ai piedi di una croce.Un bimbo donato a tutti, per tutti abbandonare, anche chi cercava di trattenerlo con amore struggente, afferrandogli i piedi.

Che strana salvezza! Un bimbo, una creatura, adagiata poveramente, in una mangiatoia. Un figlio donato. Niente di più semplice ed essenziale. Niente di più evidente.

Al presepio non si può aggiungere nulla. Lo comprese Francesco d’Assisi, che lo ripropose così come fu e come sempre sarà, sine glossa. Sfuggì alla retorica, col suo potere di dolce dissoluzione. Nel presepio è dato un bambino: cosa di più laico? Se in quel bimbo si rivela un Dio, ebbene quel Dio squarcia i cieli, trancia la tenda ed esce dal tempio, dal sacro, entra nel profano penetrandolo di una inedita sacralità. Francesco porta il mistero di questa osmosi proprio sul terreno laico dove era nato: in una piazza. «Vi è nato». Per tutti. Per chi vuole. Non solo per i religiosi, per i cristiani, per gli addetti al sacro. Percorso di un Dio che taglia corto per raggiungere l’uomo.

Ma l’uomo va per la sua strada, con le sue convinzioni, pensando di dialogare nel suo tragico soliloquio. Stravolge questo segno, relegando il presepio alle questioni religiose, anzi confessionali, anzi clericali. Al più lo tollera, invitandolo a restare nell’intimismo dei buoni sentimenti che non disdicono alla vita, asserendo che il solo riproporlo può essere offensivo della libertà altrui.

Ma il presepio sta lì, semplice, senza parole: un’icona universale comprensibile ai bambini e agli adulti, ai poveri e ai re. È un test laico di umanità: quel bimbo non è solo di Maria e di Giuseppe, che gli stanno accanto senza possederlo. Il presepio è un punto d’equilibrio tra possesso e desiderio: si carezza con gli sguardi, freme nei silenzi, si onora con oro e incenso, pulsando come le stelle negli spazi siderali. Uno stupore non estatico, ma operoso e accogliente, che riveste d’amore la povertà dell’amore.Mentre in piazza San Pietro l’albero sta ritto accanto alla capanna e i presepi cangiano negli infiniti colori delle tradizioni indie o africane, asiatiche o europee, un’eco sbiadita della grande invocazione illuministica alla tolleranza si rovescia nei suoi epigoni del terzo millennio, divenendo intollerante verso la propria madre, proprio in quel segno che deve solo essere accolto, senza aggiunte.

A Betlemme, transitano due tipi di umanità: chi accoglie – stupito, incredulo, adorante – e chi esclude, vanifica, manipola, distrugge.

Adoriamo il mistero, nel silenzio di una notte luminosa!

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