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Il cristiano non ama con un «suo» amore

DI Mauro Cozzoliordinario di teologia moralenella Pontificia Università Lateranense Uno degli aspetti caratterizzanti dell’Enciclica Deus caritas est è il reciproco richiamo che si fanno l’amore e la carità, espressione quest’ultima della novità cristiana dell’amore. L’amore non è un bene esclusivamente cristiano ma universale umano. Esso è vocazione iscritta da Dio nella coscienza d’ogni uomo e ogni donna, così che anche il non cristiano ne è soggetto responsabile. L’Enciclica ribadisce in vario modo questa valenza umana dell’amore, appartenente all’ordine della creazione e della natura umana e, quindi, della ragione con cui l’uomo lo comprende e della volontà con cui lo attua. Nel contempo l’amore è un bene propriamente cristiano, che riceve nuova luce dal donarsi rivelativo e salvifico di Dio a noi. È la novità portata dalla Parola di Dio e dalla grazia dello Spirito Santo e, quindi, dalla fede con cui ci apriamo al dono Dio. Parola e grazia sono principio di una nuova comprensione e fecondità dell’amore, espressione dell’amore stesso di Dio nella vita del cristiano e della Chiesa. Questa novità dall’Enciclica è messa in luce nei suoi elementi caratterizzanti.Essa emerge a partire dall’integrazione che l’agape, espressione dell’amore assolutamente gratuito, preveniente e oblativo di Dio, fa dell’eros, l’amore meramente umano di desiderio e di godimento dell’altro. Nell’apertura all’agape, l’eros è sottratto all’involuzione erotistica ed “è nobilitato al massimo” (n. 10). L’ eros si apre all’economia creatrice e redentrice del dono e del perdono, in cui è la sua promessa e gratificazione più alta, all’interno della logica evangelica del perdere la propria vita per ritrovarla, e di cui la croce è rivelazione suprema. La dimensione primariamente di agape dell’amore cristiano mette in luce il primato di Dio nell’amore cristiano: un amore non a partire dall’uomo, ma da Dio e, quindi, dall’amore-grazia di Dio, attivato in noi dallo Spirito Santo, che ci fa soggetti d’amore (n. 17). “Noi amiamo perché egli ci ha amato per primo” ( 1Gv 4,10) (n. 1). “Da questo “prima” di Dio può, come risposta, spuntare l’amore anche in noi” (n. 17). Questo amore di Dio l’uomo lo esperimenta realmente, perché si è fatto storia in Gesù Cristo e sacramento nell’Eucaristia, la quale ne attualizza l’evento nell’oggi del cristiano e della Chiesa. L’Eucaristia è la sorgente efficace dell’amore-dono di Dio: per essa siamo costituiti nell’amore di Dio e insieme nell’amore di tutti coloro che partecipano dell’unico pane eucaristico. “Amore per Dio e amore per il prossimo sono ora veramente uniti…: l’ agape di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi. Solo a partire da questo fondamento cristologico-sacramentale si può capire l’insegnamento di Gesù sull’amore” (n. 14). Esso non è né una teoria, né un mero comandamento, ma una relazione vivente in cui “fede, culto ed ethos si compenetrano a vicenda” nella libertà per Cristo, che qualifica e scandisce la vita del cristiano (n. 14). La novità cristiana dell’amore è la sua teologalità, così da comprendersi in relazione all'”amore preveniente di Dio” (n. 18): “Dio è amore” e “l’amore è da Dio” (1Gv 4,7.8). Il cristiano non ama con un suo amore ma con l’amore stesso di Dio, donato a noi in Cristo, “l’amore incarnato” (n. 12), ed “effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5). È l’amore di Cristo in noi il principio etico-operativo dell’amore cristiano: “L’amore di Cristo ci spinge” (2Cor 5,14). Ed è la stessa fede con cui lo riconosciamo a farsi fedeltà di amore: “Fede operante nella carità” (Gal 5,6) (n. 33). Occorre allora imparare l’amore, alimentarlo e curarlo. Nell’amore è “il cuore che vede”. Per questo, esige la “formazione del cuore” (n. 31). Esso “si nutre dell’incontro con Cristo” (n. 34), il cui terreno di coltivazione è la preghiera (n. 36). “È venuto il momento di riaffermate l’importanza della preghiera di fronte all’attivismo e all’incombente secolarismo di molti cristiani impegnati nel lavoro caritativo” (n. 37). La preghiera è quel dialogo e vincolo d’amore con Dio che illumina il conoscere e sostiene il volere, specialmente quando amare si fa oneroso e difficile, in una sociocultura disconoscitrice delle coordinate di fedeltà, gratuità, incondizionatezza e oblatività dell’amore (nn. 36-38). È importante qui mettersi alla scuola dei Santi, di Maria di Nazareth anzitutto: “Guardiamo ai Santi, a coloro che hanno esercitato in modo esemplare la carità”, per imparare dal vivo la carità e “come un tale amore sia possibile”. “Lo diventa grazie alla più intima unione con Dio, in virtù della quale si è totalmente pervasi da Lui – una condizione che permette a chi ha bevuto alla fonte dell’amore di Dio di diventare egli steso una sorgente “da cui sgorgano fiumi di acqua viva” (Gv 7,38)” (nn. 40-42).

«Dio è amore»: la prima enciclica di Benedetto XVI

Il testo integrale dell’Enciclica «Deus caritas est»