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Il valore di un voto nonostante la pessima legge elettorale

Dice che tocca al direttore scrivere l’editoriale quando ci sono le elezioni. Confesso che ne avrei fatto volentieri a meno. Non per sottrarmi alle responsabilità, ma perché mi sembrano davvero ben poca cosa (le elezioni in Italia) rispetto a quello che, soprattutto come credenti, abbiamo vissuto e stiamo vivendo in questi giorni.

E poi, lo dico subito, questa campagna elettorale non mi è piaciuta per niente e finisce che dobbiamo essere grati al Papa, non solo per il suo grande gesto a favore della Chiesa, ma anche per averci tolto di mezzo, almeno per qualche ora, le chiacchiere dei nostri politici che non hanno fatto altro, spinti anche dai meccanismi mediatici, che scambiarsi accuse e persino offese, con scarsa attenzione a programmi e problemi (che in gran parte sembrano miracolosamente spariti) e con scarso rispetto degli elettori e delle famiglie italiane che la crisi la vivono sulla propria pelle. Persino Monti, che era salito in politica, ha finito per scendere al pari degli altri nella polemica elettorale. Senza dire che la stessa parte di mondo cattolico che si era riconosciuta in Todi ha finito per ridividersi nuovamente proprio su Monti.

Per cui, non per fare l’intellettuale (anche perché come dice un amico «la mia ignoranza è senza lacune»), ma solo perché è la prima cosa che mi viene in mente per iniziare a parlare di queste elezioni, faccio ricorso a una delle poesie più belle e note del grande Eugenio Montale, «Non chiederci la parola», quando dice che «Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».Mi sentirei di dire, ma posso anche essere smentito, che non siamo né vendoliani, né leghisti, né dipietristi, né ingroiani, né grillini e non vogliamo più andare a votare con questa pessima legge elettorale che rimette tutto nelle mani dei capipartito (al di là delle primarie, che restano la cosa più positiva di questo estenuante viaggio verso il voto e che avrebbero fatto bene a fare tutti gli schieramenti).

Senza voto di preferenza l’elettore è privato proprio della facoltà di scegliere i candidati di sua fiducia in un tempo in cui molti vorrebbero privilegiare le persone a fronte di coalizioni imposte dalla legge, che sembrano d’acciaio in campagna elettorale, ma che poi si squagliano in Parlamento.

Persino le schede complicheranno la vita agli elettori: troveremo infatti solo i simboli di lista, senza l’indicazione dei leader e senza i nomi dei candidati. Attenzione quindi a riconoscere il simbolo del partito che si vuole votare e attenzione anche a non invadere con il lapis i simboli accanto, che sono molto vicini. Non è facile nemmeno individuare le coalizioni, se non per il fatto che i simboli sono attaccati l’uno all’altro, anche se, nel caso del centrodestra, l’ordine con cui compaiono nella lista alla Camera è diverso da quello del Senato.

Resta però importante andare a votare. La partecipazione prima di tutto. E la scelta non può essere emotiva. I valori di cui come cattolici siamo portatori hanno una valenza sociale, contribuiscono cioè alla costruzione della società, al bene comune. Per questo dobbiamo essere ben rappresentati in Parlamento. Tenendo anche conto delle coalizioni perché chi corre da solo, con questa legge, va poco lontano.

I cattolici più rappresentativi, come sappiamo, sono dislocati nei vari partiti, ma principalmente nell’Udc, nella Lista Monti, nel Pd e nel Pdl. Ognuno li può mettere nell’ordine che vuole, ma è solo qui (almeno a mio personale giudizio) che si possono cercare candidati di fiducia con l’accortezza che non siano troppo avanti nell’ordine di lista, altrimenti c’è poco da fare.