Opinioni & Commenti

Immigrati, una legge che scontenta tutti

di Umberto SantarelliSulla legge Bossi-Fini, che contiene disposizioni sugli immigrati cosiddetti clandestini e ne consente una limitata «regolarizzazione», com’era prevedibile, s’è scatenata la polemica tra chi la ritiene un’altissima lezione di italica civiltà del diritto e chi la giudica l’ennesima riprova della barbara ottusità d’una classe politica incapace di guardare un palmo più in là del suo naso e dell’uscio di bottega. Abbiamo deciso di vederci un po’ più chiaro e di aiutare anche i nostri lettori a farsi un’idea per quanto possibile chiara d’una questione avvelenata dai soliti pregiudizi faziosi.

Un dato sul quale si potrebb’essere tutti d’accordo è che la materia esige senz’altro un’attenta regolamentazione legislativa: che il peggior male sarebbe certamente quello di lasciare che le cose vadano come vogliono, perché da una simile scelta di non governare non potrebbero derivare che conseguenze nefaste. Questo non significa che alla fine tutto per forza faccia brodo, che qualunque regola vada bene per il solo fatto d’essere stata scritta: vuol dire solamente che lo Stato non può esimersi da esercitare le sue funzioni, restando sempre disposto a migliorare le scelte fatte se l’esperienza, onestamente valutata, dimostrerà che le soluzioni precedenti erano sbagliate.

Parrebbe tuttavia certo che, quale che sia la via scelta dal legislatore, alla fine ci dovessero essere contenti e scontenti a seconda degl’interessi che di volta in volta la legge ha scelto di proteggere o di dimenticare. Questa volta invece sembra che gli scontenti siano da tutt’e due le parti. Ai datori di lavoro italiani dà fastidio dover denunziare d’aver qualcuno al loro servizio per la solita atavica paura dello Stato-poliziotto e gabelliere che coglie al volo tutte le occasioni possibili e immaginabili per fare i conti in tasca ai suoi sudditi. I lavoratori extracomunitari hanno scoperto che la qualifica di «clandestini» non è così scomoda come la parola parrebbe suggerire e farebbero volentieri a meno di «emergere» all’attenzione della pubblica amministrazione che (giustamente) pretende anche da loro un prezzo per la «regolarizzazione» delle rispettive posizioni previdenziali. Senza considerare le migliaia di persone che cercheranno di inventarsi una famiglia da servire o un anziano da badare.

La conclusione del discorso mi sembra abbastanza chiara. La legge è per se stessa uno strumento di civiltà: è civile quella società che riesce a regolare la propria convivenza, ed è barbara quella che lascia che tutto vada per conto suo. La legalità è un valore, del quale non sarebbe possibile fare a meno. Questo certo non significa che il legislatore abbia sempre e comunque ragione e che non sia giusto lottare anche molto duramente per cancellare le leggi ingiuste e scriverne di migliori; la legge, insomma, non è necessariamente canone di sostanziale giustizia, perché è il prodotto di ogni singola società, di cui trascrive puntualmente pregi e difetti. Ma nelle società civili la giustizia trova nella legge il tramite più ordinario attraverso il quale governare la società.

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Siti utili:

Caritas Italiana

Dossier nuova legge Croce blu di Lucera

Ministero dell’Interno

Servizio immigrati del Progetto Arcobaleno

Sportello giuridico immigrazione della Caritas Italiana