Opinioni & Commenti

Immigrazione, uno scenario complesso

DI ROMANELLO CANTINISi è tornati a discutere molto in queste settimane del problema immigrazione. Per almeno due motivi. Sul piano europeo per il successo elettorale delle liste di destra di Le Pen in Francia e di Fortuyn in Olanda che seguono l’impennata di Haider in Austria e del meno noto partito di estrema destra Vlaams Blok in Belgio. Nel quadro italiano per la polemica all’interno della maggioranza fra chi, come la Lega e An, vorrebbe limitare la sanatoria sugli immigrati clandestini alle cosiddette colf e chi invece, come il Ccd e il Cdu, vorrebbe estenderla a tutti gli immigrati che lavorano in nero.

Per usare una vecchia terminologia su questo tema «destra politica» e «destra economica» fanno spesso a pugni. La paura degli immigrati fa proseliti nei settori più popolari, compresi gli operai, che vivono a contatto con i nuovi venuti nelle periferie di città come Marsiglia, Amsterdam, Rotterdam, Anversa dove oramai gli extracomunitari rappresentano oltre un terzo della popolazione. Al contrario sono proprio gli imprenditori che sempre più spesso chiedono di allargare il rubinetto dell’immigrazione per trovare manodopera per quei settori come l’edilizia, i lavori agricoli stagionali, le fonderie, le concerie o le vetrerie in cui i lavoratori nazionali non vogliono più entrare anche a costo di rimanere disoccupati.

Il problema non è solo contingente, ma anche di prospettiva su uno scenario di decenni. In Europa, e in particolar modo in Italia, la diminuzione delle nascite e il prolungamento della vita media prefigurano nel futuro una società in cui, con la prevalenza del figlio unico, scompaiono i fratelli e i vecchi riescono sempre meno a diventare nonni. In questo quadro le varie proiezioni più o meno preoccupate del futuro prevedono una iniezione endovenosa di immigrati per fornire forza lavoro al posto dei giovani sempre più insoliti e per potere pagare la pensione ai vecchi sempre più fitti. Addirittura, poiché una popolazione ricca di anziani e povera di adulti provoca inevitabilmente una diminuzione della popolazione attiva sul totale degli abitanti, qualora si voglia mantenere in futuro il tenore di vita medio attuale, la proporzione degli immigrati è prevista nelle dimensioni di una overdose capace di mettere in discussione le identità nazionali attuali.

Tutte queste ipotesi tuttavia presuppongono una serie di condizioni difficilmente prevedibili ed attuabili già nel presente e nel futuro prossimo. Perché gli immigrati possano pagare le nostre pensioni è necessario che versino i loro contributi e che non vengano fatti lavorare prevalentemente in nero come accade ancora nel nostro paese dove solo un extracomunitario su tre è assunto regolarmente.

La quantità di immigrati che giunge nei paesi europei è inoltre solo una parte determinata dal motivo della ricerca di lavoro. Per una buona percentuale è motivata dalla richiesta di rifugio politico o di ricongiungimento familiare. Il che fra parentesi dovrebbe ricordarci che l’«affare», immigrazione non può essere visto solo come una moderna tratta di uomini più o meno colorati che vengono a lubrificare il nostro modello di sviluppo più o meno arrugginito, ma anche come un dovere morale imposto dal rispetto dei diritti umani e dal richiamo della solidarietà.

In questi casi l’immigrazione deve essere accettata e difesa anche se comporta più spese (centri di assistenza, abitazioni, scolarizzazione, ecc.) che vantaggi economici immediati. In ogni caso una politica delle immigrazioni basata solo su quote determinate dall’offerta di lavoro non è sufficiente a dare risposta a drammi esterni che sono più grandi dei nostri pur importanti problemi interni e non sempre è possibile mettere a tessera la risposta alla disperazione sulla base dei conti fatti in casa propria.Il bisogno di immigrazione motivato dai lavori disprezzati in patria e dal ricambio generazionale sarà infine necessario solo a condizione che i tassi di natalità in Europa e nei Paesi di origine rimangano quelli che sono attualmente nella loro grande disparità. Alcuni timidi segni di ripresa della natalità e la promessa di politiche della famiglia nel vecchio continente possono in parte invertire una tendenza che, se confermata allo stato attuale, vedrebbe la popolazione europea diminuire nei prossimi venti anni anche con il contributo degli immigrati, mentre la popolazione africana dovrebbe quasi raddoppiare e quella asiatica superare il sessanta per cento della popolazione mondiale. Al contrario, un recente studio della fondazione Agnelli cerca di dimostrare che il tasso di natalità dei paesi dell’Africa e dell’Asia mediterranea che si è già dimezzato negli ultimi venti anni dovrebbe avvicinarsi alla media europea nei venti anni che stanno davanti a noi e prosciugare quindi la nostra fonte principale di immigrazione di oggi.

Queste considerazioni dovrebbero spingerci a non prendere in considerazione il fenomeno della immigrazione solo come una riserva di lavoro a buon mercato che da un lato dovrebbe consentirci di rassegnarci a declino e alla crescente sterilizzazione della famiglia europea e dall’altro a consolarci con una impropria valutazione delle immigrazioni come un semplice mercato di braccia meno stanche delle nostre.

È anche vero che appena si esce dall’ambito dell’osservazione triste ma pur sempre provinciale di alcune degradate realtà locali e si guarda anche sommariamente al panorama europeo ci accorgiamo che il peso dell’immigrazione nella nostra penisola appare ancora ampiamente ridimensionato. Il milione e passa di immigrati del nostro Paese che corrisponde al due per cento della popolazione italiana è pur sempre ben poca cosa al confronto degli otto milioni della Germania, dei quattro milioni della Francia, dei tre milioni della Gran Bretagna e delle percentuali di immigrati dell’Austria, dell’Olanda e del Belgio che in qualche caso si avvicinano al dieci per cento del totale della popolazione.

Ma sarebbe anche ingiusto negare che esista un problema di sicurezza legato al fenomeno immigrazione. Il fatto che i detenuti delle nostre carceri siano per un terzo extracomunitari, il fatto che per alcuni reati come lo sfruttamento della prostituzione e le rapine oltre la metà degli imputati sia di provenienza straniera stanno a significare che esiste un nesso anche fra un certo tipo di immigrazione e un certo tipo di criminalità. Ma, al contrario di una opinione corrente che tende a vedere in ogni albanese un bandito e in ogni nigeriano un magnaccia, è vero invece che proprio l’immigrazione clandestina nel momento in cui priva del permesso di soggiornare, fa necessariamente di un immigrato un balordo incapace di lavorare e un emarginato telecomandabile con ogni tipo di ricatto. Il che significa in effetti che la lotta contro l’immigrazione clandestina, unita all’accoglienza verso chi giunge per motivi di lavoro, per persecuzioni politiche o per ricomporre una famiglia, è doverosa non solo per la sicurezza del cittadino, ma anche per il rispetto e la tutela della libertà e della dignità degli immigrati stessi.

C’è inoltre di fronte alla immigrazione un problema che riguarda la più o meno presunta minaccia alla propria identità nazionale e che è certamente alla radice del successo di molti movimenti ostili o diffidenti nei confronti di stranieri a cultura forte e difficilmente assimilabili dentro le nostre culture fino ad ieri esclusive o comunque dominanti. I mezzi di comunicazione di trasporto moderni sono capaci di mantenere forti legami fra gli immigrati ed i paesi di provenienza per cui parlare di integrazione, come avveniva per l’emigrazione sradicata della seconda metà dell’Ottocento e dei primi settanta anni del secolo scorso, appare sempre più difficile.Il problema, come è noto, si pone soprattutto nei confronti della immigrazione di origine musulmana che oramai in Europa ha superato ampiamente i dieci milioni di presenza e che raggiunge nell’insieme la dimensione di una nazione di media grandezza. Questa ultima ondata migratoria chiede di mantenere una forte identità e avanza una serie di richieste anche legittime pur se problematiche nella loro concreta attuazione. L’elenco delle richieste già accolte o ancora da accogliere è lungo e tutt’altro che esauriente: costruzione di moschee e di cimiteri islamici, spazi televisivi autogestiti, insegnamento religioso nelle scuole, assistenza ai musulmani negli ospedali e nelle carceri, pausa per la preghiera durante la giornata lavorativa e riconoscimento delle festività islamiche, mense scolastiche e aziendali senza carne di porco, con carne halal e differimento durante il digiuno del Ramadan, tolleranza del velo nella scuola e negli spazi pubblici, banche che non pratichino interesse (il riba) sui prestiti e sui depositi e via dicendo.Più complesso diventa il problema quando dal piano di una società multietnica si cerca di passare ad una società multiculturale. In questi casi i diritti delle minoranze possono entrare in conflitto con il diritto della maggioranza. In genere nel nostro paese una sospetta tempestività laicista ha spesso preceduto le comunità musulmane nelle proprie richieste. Sono stati questi solerti laici che talvolta hanno imposto la rimozione del crocifisso dai luoghi pubblici e la proibizione del presepe nelle scuole in nome del cosiddetto rispetto di tutte le confessioni religiose. Allo stesso modo in Belgio è già accaduto che di fronte alla richiesta degli islamici di finanziare anche le proprie scuole che potevano diventare scuole coraniche il governo si è orientato a togliere il finanziamento anche alle scuole cattoliche teorizzando la necessità di una unica scuola statale sicuramente laica. Una certa nuova frontiera del laicismo parte così dall’omaggio a tutte le religioni per arrivare all’emarginazione di tutte le religioni.

In realtà dentro una certa concezione fondamentale del multiculturalismo è impossibile mantenere l’identità culturale tradizionale e fondante di un popolo. Sotto questa angolatura sarebbe difficile in Italia mantenere per esempio, nella scuola l’insegnamento della Divina Commedia (con il suo canto ventottesimo canto dell’inferno che condanna Maometto e Alì fra gli scismatici) e perfino un’opera così cristianamente centrata come I promessi sposi per non parlare della Gerusalemme liberata. Allo stesso modo nella storia è improponibile persino la periodizzazione fra Medioevo e Rinascimento che non ha alcun senso per la cultura islamica. Lo stesso si dice per l’insegnamento del diritto con la sua teorizzazione della laicità dello stato, della libertà religiosa con la leicità della conversione, della parità e della comunione dei beni fra i coniugi e via dicendo.

C’è da un lato la necessità che le nuove culture non pretendano di cancellare la cultura originaria dei paesi di accoglienza che è pur sempre la cultura della stragrande maggioranza in nome di un eclettismo per cui riconoscendosi in tutte le culture di fatto non ci si riconosce più in nessuna. Dall’altro lato esiste il dovere del rispetto e del dialogo con le nuove identità soprattutto religiose.Ma quello che si deve chiedere ai nuovi immigrati è il rispetto delle regole della convivenza civile su cui si basano le nostre società. Non solo i principi di democrazia e di laicità dello stato, ma anche, ad esempio, quei principi di parità fra i coniugi, di diritto alla personale scelta religiosa, alla comune decisione nella educazione dei figli per la cui mancata accettazione diventano ancora oggi così difficili e spesso fallimentari tanti matrimoni misti.Immigrati, polemiche sul «disegno»Immigrati, le cifre