Opinioni & Commenti

La «flat tax» e il dovere di pagare le tasse

Si sta riaccendendo in questi giorni il dibattito sulla flat tax (tassa piatta), una modalità di tassazione di cui può essere utile richiamare le caratteristiche. L’idea di una flat tax nasce molto prima di essere teorizzata dagli economisti. Senza andare troppo a ritroso, già nel 1940 nell’Isola inglese di Jersey venne introdotto un sistema impositivo che presentava caratteristiche assimilabili alla flat tax, cui ha fatto seguito Hong Kong nel 1947, con un’aliquota flat del 16%. La sua teorizzazione maturerà nell’ambito degli studi dell’economista Milton Friedman (1962) che, insieme a George Stigler, è il principale esponente della Scuola di Chicago le cui idee ispirarono le strategie economiche del Cile di Pinochet e videro Friedman consigliere della Thatcher, di Nixon e, soprattutto, di Reagan nella stagione della svolta liberista dell’economia americana (1981-1989).

Di flat tax si riparlò esplicitamente all’inizio degli anni ottanta quando gli economisti statunitensi, Robert E. Hall e Alvin Rabushka, riprendendo l’idea di Friedman, proposero un modello tributario basato: su un’unica aliquota d’imposta al 19% da applicare ad ogni contribuente, persona fisica o azienda che sia, indipendentemente dal livello di reddito e dalla sua origine; sull’assenza di imposizione fiscale sui capital gains (plusvalenze di capitale); su una maggiore imposizione indiretta, prevalentemente sui consumi (Iva), a sostegno del gettito complessivo.

Alla base della flat tax vi è la convinzione dell’estrema importanza degli incentivi individuali per favorire la crescita economica, in particolare quelli che riguardano l’imposizione fiscale.

Ulteriore obiettivo ricercato della flat tax è facilitare la riduzione dell’evasione fiscale grazie ad una aliquota bassa, che andrebbe a compensare il minor gettito fiscale se non ad incrementarlo attraverso il recupero del sommerso. A questo si aggiunga l’intento di attrarre investimenti esteri nell’ambito di un più generale processo di concorrenza fiscale che ad oggi vede, per esempio, l’Irlanda con una tassazione del 12,5% sui redditi, il Portogallo con l’imposta sulle società al 27%, l’Austria al 25%, la Germania al 15,825%, gli USA con la recente riforma fiscale di Trump al 21%. Un aspetto che tuttavia viene generalmente taciuto è il facile generarsi per le pubbliche finanze di importanti deficit di bilancio non sufficientemente compensati, almeno nel breve periodo.

In realtà negli Usa, a fronte di un intenso dibattito sull’opportunità di utilizzare tale modello fiscale, la discussione è rimasta allo stadio progettuale. Essa ha invece trovato ampia diffusione con alterne vicende nei Paesi dell’ex blocco sovietico che, caratterizzati da sistemi tributari complessi e con aliquote alte associati ad una diffusa evasione fiscale, hanno trovato in questo sistema impositivo una ricetta per incrementare il gettito tributario e, soprattutto, per attrarre investimenti esteri.