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La guerra contro i curdi e le promesse non mantenute

E ancora Erdogan cerca di nobilitare la sua guerra chiamandola guerra contro «i terroristi» curdi quando i curdi sono stati coloro che, come le truppe di colore di una volta, hanno fatto il lavoro più sporco nel combattere sul terreno i terroristi veri dell’Isis sacrificando a questo corpo a corpo centodiecimila di loro. Dall’altra parte Trump e il segretario generale della Nato fanno i filantropi e danno ad Erdogan il permesso di sbarazzarsi dei curdi purchè lo faccia «con moderazione». Come dire: non con la mannaia, ma magari con il pentobarbital delle dolci morti assistite.

E Trump dà il via libera all’attacco turco dicendo che deve riportare a casa i suoi soldati, cercando di apparire la madre amorosa che va a riprendersi il proprio ragazzo al fronte. Ma l’anno prossimo per lui ci sono elezioni molto difficili e Trump cerca voti anche in questo modo. È come se Roosevelt nel 1944, dopo lo sbarca in Normandia, avesse richiamato a casa i suoi soldati e lasciato campo libero a Hitler per vincere le elezioni del 7 novembre di quell’anno. Ecco di nuovo il cliché del «prima gli americani», per non dire «prima Trump».

Ma questa storia per cui «il sangue dei francesi appartiene solo alla Francia» l’abbiamo già sentita e, in fatto di donatori di sangue, si porta dietro un sottile retrogusto di opportunismo mischiato a sciovinismo. Dall’altra parte anche Erdogan, dopo essere stato sonoramente sconfitto nelle amministrative di Istanbul e di Ankara, cerca di risalire nei sondaggi con una campagna militare trionfale. E sullo sfondo perfino i migranti, non solo innocenti, ma vittime, sono usati ormai come materiale rotabile e come divisioni involontarie da gettare sul campo di battaglia. Erdogan vuole ricollocare nel territorio strappato ai curdi i due milioni e mezzo di profughi siriani. E di fronte alle critiche dell’Europa, minaccia di farla invadere dai sei milioni di migranti che tiene dentro i suoi confini, come se i migranti fossero diventati un’ arma di distruzione di massa come i virus e i microbi previsti nella guerra biologica.

I curdi, dopo aver combattuto con e per conto degli americani, si sentono traditi per l’ennesima volta da quando furono traditi cento anni fa con il trattato di Losanna che tolse loro l’indipendenza dopo che era stata loro promessa. La mancanza della parola data è sempre un colpo micidiale contro la sicurezza internazionale, ma è grave soprattutto quando di fellonia si macchia la maggiore potenza mondiale che con la sua credibilità ha la maggiore responsabilità nel garantire la stabilità del mondo intero.

La fede alla parola data è non solo una questione d’onore, ma anche il vinavil che in politica tiene insieme le alleanze internazionali, le intese multilaterali, la garanzia per il più debole, in sostanza tutto ciò che è alternativa e prevenzione al conflitto e alla guerra. Ogni tradimento di una promessa fa crollare il listino di tutte le intese che tengono a fatica insieme il mondo e spinge ognuno a contare solo su se stesso, ad imparare ad essere cinico in un mondo di cinici, e infine ad armarsi e ad addestrarsi perché solo con la propria forza si può cercare protezione e dalla violenza ci si può difendere solo con la violenza.

Per questo ognuno è chiamato oggi, dai singoli stati agli organismi multinazionali come l’Onu e l’Unione Europea, a dimostrare almeno loro di rimanere riconoscenti e fedeli con parole e con gesti ad un popolo musulmano, che è fra l’altro il più vicino ai nostri valori, per portare un contributo non solo alla ricostruzione della pace in Siria, ma anche alla costruzione della pace nel mondo.