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La logica del dono per ribaltare la logica di mercato

di Giuseppe SavagnoneLa Giornata della Colletta alimentare, promossa in Toscana, come in tutta Italia, dal Banco alimentare, costituisce un’occasione propizia per riflettere sul significato non solo di questa importante iniziativa, ma del più ampio fenomeno del volontariato. In una società divisa tra la logica del mercato e quella dell’assistenzialismo statale, il cosiddetto «terzo settore» rappresenta, infatti, una prospettiva del tutto diversa, che si ricollega allo spirito del dono.

Nel comune modo di pensare, oggi il dono viene relegato nella sfera puramente privata delle relazioni parentali o amicali. Ci si scambiano regali in occasione di feste tradizionali, come il Natale, o se ne fanno a chi festeggia un compleanno o un anniversario. Si dimentica, abitualmente, che il dono ha una storia pubblica che risale assai più indietro della nascita del mercato e di quel suo correttivo che è lo Stato assistenziale.

In principio era la gratuità, che non vuol dire unilateralità, perché anche il dono implica una reciprocità, pur se di tipo diverso dalla compravendita. Mentre quest’ultima, infatti, si fonda sul principio del do ut des e implica un’equivalenza monetaria tra gli oggetti dello scambio, il dono sollecita la restituzione solo indirettamente, in quanto crea un rapporto tra chi lo fa e chi lo riceve, «obbligando» quest’ultimo a ricambiarlo, non importa se con oggetti di pari o di diverso valore. Perché nel dono ciò che conta non sono le cose, ma la relazione che si crea. Esso veicola la persona – «è solo un pensiero», si dice – e proprio per questo crea un legame che non esiste, invece, nello scambio puramente mercantile.

Per questo, forse, il dono è stato progressivamente soppiantato dal mercato che, chiamando in causa solo le merci e non le persone, consente a queste ultime una piena libertà. Verso chi viene pagato non ci si sente «obbligati». Anche se il prezzo di questa libertà, concepita ormai come assenza di vincoli durevoli e di responsabilità verso l’altro, sono l’individualismo e la solitudine.

Né possono ovviare a questa solitudine i funzionari dello Stato assistenziale, la cui attività non costituisce un ritorno allo spirito del dono, ma il definitivo allontanamento da esso. La burocrazia, infatti, funziona, sì, al di fuori della logica del do ut des, ma, a differenza del dono, le sue prestazioni sono anonime e impersonali. Essa, per definizione, «non guarda in faccia» nessuno e i casi particolari la mandano in tilt, perché non rientrano nelle categorie dei moduli prestampati. Il contrario del dono, che è sempre individuale e dovrebbe essere scelto in rapporto alla personalità del destinatario.

Oggi il volontariato testimonia che il dono non è soltanto un residuo del passato, ma una importante prospettiva per il futuro. Non solo esso, dando luogo a consolidate competenze, si allontana decisamente da ogni tipo di dilettantesca filantropia, ma, in quanto supera la prospettiva meramente privatistica, si pone come il modello e l’anticipazione di una nuova dimensione pubblica, che superi sia l’idolatria del mercato che lo statalismo, rendendo giustizia alla «sporgenza» della persona rispetto a queste due logiche. La sua capacità di intessere legami tra le persone, senza però oscurare la loro creatività e originalità individuali, implicite nella gratuità, può costituire «la base sulla quale potrebbe essere edificata una società solidale, a eguale distanza dall’egoismo di un liberalismo desocializzante e dalle violenze di un socialismo burocratico» (Godbout). E di una simile, tacita rivoluzione, rispetto agli schemi dominanti, la nostra società ha un urgente bisogno.

Colletta alimentare, un miracolo che si rinnova